“Anche una particella può emozionare”. È così che Giuliana Cunéaz, artista valdostana di fama internazionale, spiega l’approccio che ha avuto con la fisica e ciò che l’ha portata a lavorare, insieme a Fabio Truc, all’opera Quantum Quirks, visibile sulla facciata della School of digital arts di Manchester fino al 10 marzo: una proiezione a led specificatamente realizzata, con l’obiettivo di esplorare l’universo quantico e il comportamento della materia in scala nanometrica.
L’interesse nei confronti della teoria dei quanti arriva dal fascino per l’infinitamente piccolo, come spiega la stessa artista: “Credo sia un argomento estremamente interessante. Nell’infinitamente piccolo, la materia si comporta apparentemente in modo eccentrico. Tutto ciò che esiste è fatto di molecole. Le molecole sono aggregazioni di atomi, che a loro volta sono assemblaggi di protoni, neutroni ed elettroni ma quando le si osserva in scala nanometrica queste particelle di materia si comportano in modo molto diverso dai grandi assemblaggi che formano. Nell’infinitamente piccolo iniziano a manifestarsi proprietà ed effetti che non potrebbero esistere nel nostro macro-mondo della fisica classica”.
Avvezza alle sfide e a ogni tipo di sperimentazione, la Cunéaz non si pone limiti, ma sorvola i campi artistici e scientifici per trovare punti di incontro e poli opposti pronti ad attrarsi; un approccio di eterna scoperta e ridefinizione dei limiti muove l’artista che in questo caso ha intrapreso un percorso lungo per cimentarsi con un’intera facciata di un edificio in Inghilterra: “Quando Valentino Catricalà mi ha proposto di fare un lavoro per la facciata del Building di SODA, uno dei centri digitali più importanti d’Europa, ho accolto con gioia la sfida. Erano tante le difficoltà tra cui la forma, la verticalità dell’edificio, la definizione delle immagini, il fatto che doveva essere d’impatto immediato e le immagini dovevano scorrere rapidamente, ma non volevo fare un lavoro che fosse solo decorativo, allora ho messo in campo la mia passione per le stranezze quantistiche e ho deciso di condividerle con la città. La cosa è piaciuta molto”.
Per lavorare all’opera, Giuliana Cunéaz ha collaborato con il fisico valdostano Fabio Truc, il quale si è dimostrato “un vero professore con il quale ho avuto molte conversazioni telefoniche e di cui conservo ancora i lunghi messaggi vocali, dalla grande disponibilità”.
La Cunéaz ammette la difficoltà riscontrata spesso nel far convivere il rigore dello scienziato con le intemperanze dell’artista, ma anche in questo risiede (forse), la magia di quest’opera che tenta di creare un ponte tra l’arte fine a sé stessa (come nella migliore delle tradizioni) e il campo scientifico che nell’immaginario collettivo resta il più concreto possibile. Eppure. Eppure non è tutto scritto nella pietra, come spiega la stessa artista: “Le scienze mi hanno sempre affascinato. Oltre alla fisica, anche l’astronomia, la biologia, l’antropologia e le neuroscienze sono materie che spesso sono presenti nel mio lavoro. Secondo la mia visione si deve sempre spingere il limite un po’ più in là. Uscire dalla comfort zone e avventurarsi in nuovi territori. Io mi sento fondamentalmente un’esploratrice e lavoro sulla materia e sull’immaginario come un archeologo nel sottosuolo. Lavoro con passione e curiosità, con il desiderio di scoprire sempre nuove vie affrontando così nuove sfide. Mi voglio avvicinare sempre più al cuore segreto della vita e constatare le qualità e i limiti della nostra potenzialità percettiva e creativa. Ogni epoca ha offerto agli artisti i propri mezzi e le proprie conoscenze e oggi più che mai la tecnologia e la scienza ci consentono di esplorare mondi fino a poco tempo fa impossibili anche solo da immaginare. Questa è un’opportunità straordinaria. Probabilmente, come per tutte le arti, i grandi quesiti rimangono gli stessi ma cambia il modo di rappresentarli e condividerli. Direi che se parliamo di limiti, oggi l’unico vero grande limite per l’arte è di natura economica visto che gli investimenti per la ricerca sono quasi inesistenti”.
Nel lavoro e nelle opere dell’artista valdostana assumono un ruolo centrale l’esplorazione e l’innovazione, temi che non vengono posti al centro del linguaggio artistico della Cunéaz solo dai supporti utilizzati, ma anche dal suo pensiero artistico; la sua sperimentazione assume a pieno il ruolo di messaggero, facendosi così carico di un modo di reinventare l’arte senza perdere di vista il messaggio che si vuole veicolare, in uno spirito di continuo e perpetuo cambiamento nel segno della condivisione con i fruitori: “L’arte si può e si deve reinventare, ma credo che non esista una via uguale per tutti, non esiste un’unica ricetta. Le cose che ritengo più importanti sono l’originalità, l’autenticità e la libertà di espressione. Ogni persona è unica e irripetibile e così anche l’artista è chiamato a fare il lavoro che risulta più vicino alle sue corde. Io credo che un’opera riuscita non nasca solo per piacere agli altri ma principalmente deve piacere a chi la fa. Solo così può avvenire la condivisione. Io ad esempio sono un’artista visionaria che ama la scienza ma che non ha mai rinunciato all’aspetto poetico ed emozionale dell’opera anche quando non era di moda farlo. Purtroppo certi freni alle innovazioni linguistiche le impone il sistema che spesso non ha interesse a promuovere il nuovo e preferisce sostenere linguaggi e contenuti già ampiamente metabolizzati, in certi casi vere e proprie imitazioni di opere note del passato”.
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Grande!