Una vita per lo sci di fondo: addio a Sergio Favre, skiman di Saint-Barthélemy. I funerali mercoledì 27 marzo

Il mondo degli sport invernali sotto shock per la notizia. In carriera aveva seguito campioni come Dario Cologna, Stefania Belmondo e il tedesco Johann Muhlegg. I funerali si terranno mercoledì 27 marzo alle ore 10 nella chiesa di Lignan.
sergio favre
En souvenir

Con un sorriso appena accennato sotto ai baffi Sergio Favre diceva spesso che sì, “Conosco bene la regionale di Saint-Barthélemy, ma forse conosco meglio le strade della parte alta della Finlandia”. Poteva sembrare una battuta, ma battuta non era: Sergio Favre di Saint-Barthelemy – che sulla strada che da Nus va a Lignan ci è praticamente cresciuto – aveva probabilmente più dimestichezza con l’asfalto e il cemento che collegano Kouvola, Ylivieska e Vaajakoski, ma anche Kiruna e Saelen-Mora in Svezia o Hommelvik e Nybygda in Norvegia.

Cosa hanno in comune queste città sconosciute ai più? Sono (alcune) delle località dello sci di fondo scandinavo, puntini sulla cartina geografica che Sergio Favre conosceva a memoria. Perché andare a Lathi, a Oestersund o a Drammen sono capaci tutti: il vero fondista – e Sergio era uno di questi, senza ombra di dubbio – sa destreggiarsi anche sulle piste minori, dove si organizzano gli allenamenti tra una tappa di Coppa del Mondo e un’altra. Sergio Favre, guru dello sci di fondo, è mancato venerdì sera nella sua casa di Venoz a Saint-Barthelemy, lasciando un profondo vuoto nella comunità di Nus e in tutta la grande famiglia degli sport invernali.

Un occhio di riguardo per gli sci e i cuori degli atleti

sergio favre
sergio favre

Sergio Favre conosceva la Scandinavia come le sue tasche semplicemente perché su quelle strade ha trascorso gli ultimi trentacinque inverni. Da fine ottobre a dicembre, poi di nuovo da fine febbraio a metà marzo: su e giù con il pulmino tra Norvegia, Svezia e Finlandia, nazioni dove lo sci di fondo è religione. E dove Sergio Favre, con la sua coda riccia e una corporatura decisamente poco convenzionale per chi sta sugli sci stretti, era a suo modo un personaggio.

Chi scrive lo conobbe nella mattinata di domenica 17 dicembre 2006 a La Clusaz. La Coppa del Mondo di fondo faceva capolino in Alta Savoia a distanza di pochi giorni dalla gara in linea di Cogne. Staffette, quel giorno: e sulla pista, prima di veder passare gli atleti, seguivi la sfilata di allenatori e skiman. Tutti imbardati fino alle orecchie, salvo uno: spalle larghe, barba lunga di qualche giorno, coda al vento. Non sembrava un fondista, ma la qualità della pattinata diceva il contrario. Sotto il pettorale da tecnico aveva la tuta della nazionale svizzera, ma si fermò sentendo gli spettatori parlare patois. Due chiacchiere al volo, le prime di una serie che avrebbe dovuto essere più lunga.

Ne aveva di storie da raccontare, Sergio Favre. Nato a Saint-Barthelemy, chiaramente con gli sci di fondo ai piedi: meno talento del fratello Carlo, ma un amore folle e viscerale per quello sport che gli era entrato nel sangue quasi ancora prima di camminare. Non potendo diventare campione, si mise al servizio dei campioni. Il suo ruolo? Skiman.

Che vuol dire curare gli sci degli atleti, scegliere scioline e paraffine, piazzarsi a bordopista in un punto strategico del tracciato con i bastoncini della giusta lunghezza per ogni ragazza o ragazzo della tua squadra che possa averne bisogno. Ma lo skiman è anche di più: è facchinaggio alla vecchia maniera – si guida il pulmino, su e giù per la Scandinavia e non solo – e pure mediazione tra gli atleti e gli allenatori. Solitamente si parteggia più per i primi che per i secondi: lo skiman, in un mondo sportivo sempre più asettico e dedito al professionismo assoluto, era anche quella figura in grado di fare da cuscinetto tra chi decideva e coloro che poi indossavano il pettorale. Gli skiman di una volta – Sergio Favre ne è l’emblema – erano quelli capaci di intuire con una semplice occhiata se la giornata dell’aspirante fondista di alto livello sarebbe andata nel verso giusto o meno.

In trent’anni e più di sci di fondo Sergio Favre ha visto all’opera campioni, aspiranti campioni, cavalli da soma, meteore e bluff clamorosi: lui, con l’occhio lungo di chi lo sci di fondo lo aveva masticato che ancora non esisteva la tecnica libera, aveva la capacità di battezzare un fenomeno a prima vista.

Facile con il senno del poi, decisamente più complicato se il ragazzino di talento non lo conosce nessuno. Ritornando a quel 2006, Favre disse che Tra i giovani della nazionale ce n’è uno bravino, questo farà strada”. Il suo nome? Dario Cologna.

Sette Olimpiadi e sei ori a cinque cerchi

Dario Cologna che, per inciso, nello sci di fondo ha vinto praticamente tutto quello che c’era da vincere. Lo skiman di Saint-Barthélemy, battezzò ben presto il ragazzo della Val Munstair, ma bisogna dire ad onor del vero che spesso e volentieri le scommesse di Sergio Favre si rivelavano azzeccato. Cologna è stata la stella della parte finale della sua carriera, prima di lui c’erano stati il tedesco naturalizzato spagnolo Johann Muhlegg e soprattutto Stefania Belmondo.

Con la cuneese le prime soddisfazioni a cinque cerchi arrivarono a Lillehammer nel 1994 – due bronzi, nell’inseguimento e nella staffetta – poi Sergio si traferì metaforicamente in Spagna per seguire Johann Muhlegg dopo l’addio di quest’ultimo alla nazionale tedesca. Un mostro, soprattutto nelle distance (le sprint ancora non esistevano): a Salt Lake City nel 2002 l’esperienza più controversa, con le vittorie nella 30 km e nell’inseguimento e una terza medaglia d’oro che arrivò nella gara regina – la 50 km – ma fu cancellata l’indomani per una positività al controllo antidoping.

La fine della carriera di Muhlegg dirottò Sergio Favre verso altri lidi: la Svizzera, con Cologna, gli consegnò altri Giochi Olimpici e altre medaglie: a Sochi, nel 2014, con gli sci di Sergio l’elvetico vinse la 15 km e lo skiathlon. Quando Cologna si ritirò anche Sergio Favre decise di smettere: qualche puntata in Coppa Europa, poi la settima Olimpiade quasi a tempo scaduto, visto che a Pechino nel 2022 indossò la divisa della nazionale slovena.

Lunedì o martedì il funerale a Saint-Barthélemy

La notizia della morte di Sergio Favre ha raggiunto ben presto tutte le sfaccettature dello sci di fondo. “Parlavamo di lui venerdì a pranzo ai Campionati Italiani di Pragelato, ancora non ci posso credere”, commenta affranto Marco Albarello, il fondista valdostano più vincente di sempre. Ultimo di cinque fratelli – Marcello, Laura, Elviro e Carlo – Sergio Favre era nato il 1° giugno del 1955 ed era papà di Selena: Sci Club Valchiusella e poi il Saint-Barthélemy, prima della trafila internazionale che lo ha portato in ogni angolo del globo.

Aveva abitato per un po’ a Verrayes con la moglie Daniela Masini, una decina di anni fa era tornato nella casa di famiglia di Venoz, poco sopra Saint-Barthélemy. Li si era costruito la sua normalità estiva – tra le patate della specie Verrayes e i lavori con gli amici di tutta la vita – e aveva imparato a trascorrere gli inverni senza il suo pulmino, i suoi sci e la moltitudine di aspiranti campioni che gli chiedevano un consiglio. I funerali di Sergio Favre si terranno mercoledì 27 marzo alle ore 10 nella Chiesa di Lignan a Saint-Barthélemy, con partenza del corteo funebre dall’abitazione dell’uomo in frazione Messigné n 41, dove da lunedì 25 marzo è aperta la camera ardente.

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