La storia di Eleonora: dalla violenza alla denuncia, il coraggio di ricominciare

Eleonora (nome di fantasia) racconta il suo percorso dopo la violenza subita: il blackout iniziale, il sostegno ricevuto e la decisione di denunciare. Una testimonianza di forza e resilienza per incoraggiare altre vittime
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Quando la vedo arrivare, mi colpisce subito la sua delicatezza: una giovane minuta, che sembra potersi piegare sotto un colpo di vento. Dietro quell’apparenza fragile, si nasconde però un grande coraggio, accompagnato dalla determinazione di riprendersi la normalità di una vita spezzata da chi considerava un amico.

“È accaduto una sera. Sono andata a casa sua e, dopo aver bevuto, mi sono sentita male. Anziché aiutarmi, lui si è approfittato di me. Quando ho ripreso le forze, sono riuscita a convincerlo a riportarmi a casa, anche se più volte, anche con l’uso della forza, ha cercato di trattenermi lì.”

Una volta rientrata a casa, Eleonora (nome di fantasia) rimuove quanto accaduto. “Parlando con la mia psicoterapeuta, ho capito che è stato un meccanismo di autodifesa del cervello per proteggermi dal trauma. Per giorni non ricordavo nulla di quanto avevo vissuto.”

Poi, una sera, accade qualcosa che fa riaffiorare tutto: “Stavo guardando con il mio ragazzo una serie TV, in cui c’era una scena di violenza sessuale sotto l’effetto di droghe. Ho iniziato a piangere senza sapere il motivo. Da lì tutto mi è tornato in mente.”

Nei giorni successivi, Eleonora cerca di fare chiarezza. “Mi sono ritrovata anche a cercare su Google la definizione di violenza sessuale, pur consapevole che era proprio quello che avevo subito. I miei “no”, ripetuti più volte, non erano bastati. È impensabile che lui abbia potuto pensare “magari ci sta”. Sai che queste cose esistono, ma non pensi mai che possano accadere a te.”

Nonostante il tentativo di evitarlo, Eleonora si trova a incontrare spesso l’amico nei luoghi che frequentano in comune. È proprio il confronto con gli amici condivisi a darle il sostegno necessario. “Sono stati loro, a cui ho raccontato tutto, a spingermi a denunciare. Ho chiamato il numero verde, che mi ha indirizzato al Centro donne contro la violenza. Prima però sono andata al Pronto soccorso, perché non riuscivo più a dormire e soffrivo di attacchi di panico.

Al Centro Donne contro la Violenza, Eleonora trova supporto e assistenza. “Mi hanno consigliato e proposto di iniziare un percorso con uno psicologo, che non mi sarei potuta permettere; mi hanno aiutato a trovare un avvocato, che da sola non avrei potuto pagare. Mi hanno aiutata a gestire tutta la situazione. Il percorso con lo psicologo lo consiglio a chi si dovesse trovare nella mia stessa situazione. È fondamentale poter parlare con un professionista per non portarsi dietro i sintomi che ne derivano. Bisogna cercare di aprirsi il più possibile, esponendo paure ma anche vergogne, perché ci si vergogna di dire che ci si sente, inconsciamente, in parte responsabili.”

Durante i primi giorni di blackout, l’amico propone a Eleonora di pranzare insieme, come avevano fatto altre volte in passato. Lei accetta, non ricordando ancora nulla. “Quando poi i ricordi sono riaffiorati, gli ho scritto un messaggio istintivo, molto duro, in cui gli dicevo chiaramente che non avrei più voluto parlargli e che per lui uno stupro sembrava non valere nulla. Lui mi ha risposto: ‘No dai, scusa, lo sai che non sono così, non succederà più.’” Quella risposta rafforza in Eleonora la decisione di denunciarlo. “Avevo paura di non essere creduta.”

Con il supporto del Centro, Eleonora presenta denuncia. “Non è stato semplice: ho dovuto rivivere tutto. Ma, stranamente, mentre raccontavo, emergevano piccoli frammenti che non ricordavo. Alla fine, ripetendo il racconto tante volte, è stato quasi terapeutico. Con l’incidente probatorio, fortunatamente, è andata meglio.”

I giorni successivi alla violenza sono un alternarsi di emozioni: paura, ansia, rabbia. “All’inizio non riuscivo a dormire la notte e non riuscivo più a studiare. Avevo frequenti attacchi di panico e poi ero stanca, non riuscivo a concentrarmi. Ho cercato di tenermi occupata con attività manuali, tipo riordinare casa o lavare i piatti, ma appena mi fermavo mi veniva da piangere e stavo malissimo. Piano piano questi sentimenti sono diminuiti. Ora, dopo tanto tempo, mi rimane solo il problema del sonno: non riesco a dormire se non c’è fisicamente qualcuno con me nel letto, come il mio ragazzo o un’amica. Ed è strano, perché sono sempre stata una dormigliona. A volte ritornano gli attacchi di panico e lo stress legato alla paura di poterlo incontrare.”

Eleonora avrebbe potuto cambiare città o abitudini per evitare il suo aggressore, ma ha scelto di non farlo. “Non trovavo giusto modificare la mia vita per paura. Per questo consiglio a tutte, se si è tranquille di denunciare queste persone: non possono vivere normalmente dopo aver fatto una cosa così brutta. Non è giusto che loro siano felici, vadano a scuola, al lavoro, ovunque, mentre tu non ci riesci, mentre tu piangi la notte. Loro studiano o lavorano normalmente, mentre tu non riesci a farlo. Non bisogna lasciar correre queste cose, come se nulla fosse successo. Vorrei dire anche ad altre vittime di violenza di non fermare la propria vita. Circondatevi di persone che vi vogliono bene, a cui volete bene, e fate quello che desiderate, come lo desiderate, senza paura”.

Conclude con un sogno che sente come premonitore: “Mi trovavo all’università, durante la giornata contro la violenza sulle donne, a fare un discorso davanti a tante persone. Dicevo a tutte di non aver paura.  E’ stato un sogno bellissimo: sono sicura che riuscirò a superare tutto questo e una volta che ci riuscirò voglio poter aiutare altre persone che hanno vissuto la mia stessa esperienza.”

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