Davide Calgaro accende il Giacosa di risate

Ieri sera il giovane stand-up comedian milanese ha portato ad Aosta uno spettacolo dedicato alla crescita, ironizzando con sincerità sulle stranezze della sua generazione. A sorpresa, ospiti anche il comico Giordano Folla e il beatboxer Amir Almussawi.
Davide Calgaro
Cultura

Davide Calgaro sale sul palco del Cinema Teatro Giacosa, si siede dietro a un tavolo e, con espressione concentrata, inizia a fare beatboxing. “Lo spettacolo sta iniziando già / Sarà meglio di sta sigla qua / Sono giorni che penso a come iniziar / ed ecco un modo per abbassare l’aspettativa-a-a”.

Il ghiaccio è rotto, il pubblico ride, lui lo ringrazia calorosamente e dedica un pensiero a due persone speciali in prima fila: i genitori. Tutti applaudono toccati dalla tenerezza, lui si lancia su un uomo, ma poi precisa: “Non lo avevo mai visto prima”.

Con questo gioco di equivoci, il giovane stand-up comedian Davide Calgaro ha aperto ieri sera il suo spettacolo in occasione della chiusura di VDA Orienta. Durante l’evento, il giovane milanese classe 2000 ha snocciolato con ironia le stranezze, le difficoltà e le contraddizioni della sua generazione, trasformando le sue sincere esperienze personali in un racconto più ampio sui giovani di oggi.

Ospiti a sorpresa sul palco, anche il comico Giordano Folla con un breve monologo sull’ansia, i rapporti umani e i social e il beatboxer Amir Almussawi, che ha accompagnato Calgaro con la creazione di basi musicali e la riproduzione di suoni.

Il caos della crescita, tra famiglia e partita IVA

Per Calgaro, crescere significa prendere coscienza, soprattutto ironica, di chi si è, spesso in contrasto con il pensiero e le scelte familiari: “I miei genitori sono molto diversi da me. Sono entrambi medici. Io fumo, mangio male, dormo male. Come figlio sono una merda. Come paziente devo dire che non si possono lamentare”.

L’adolescenza, trascorsa in una famiglia numerosa con con cinque fratelli, un bagno perennemente occupato e una privacy inesistente, è stata un’esperienza tumultuosa: il rap, ad esempio, è sempre stato un mistero assoluto per i genitori.

Ma le vere sfide sono arrivate con l’ingresso nel mondo del lavoro, dove l’incubo della partita IVA ha rappresentato un enigma irrisolvibile che lo ha costretto a un’inevitabile soluzione: delegare tutto alla commercialista con l’imposizione di non essere in alcun modo coinvolto tra le sigle minacciose di quel mondo: “Non ci capisco niente. Io ho fatto il liceo classico, sono stato rimandato tutti gli anni di matematica. Un anno volevano promuovermi e mi sono opposto io”.

Un mondo difficile da comprendere

Poi c’è la realtà contemporanea, strana e difficile da leggere. “Un’altra stranezza è proprio il presente”, dice Calgaro, facendo riferimento al mondo iperconnesso, in cui si è dipendenti dai social e quotidiani testimoni di eventi incredibili in tempo reale: “Siamo una generazione strana, facciamo cose strane”.

La sua dipendenza da Instagram, per esempio, si manifesta in situazioni assurde: “Una mattina ero in bagno, ho fatto la cacca, ho visto così tanti reel che a un certo punto dovevo rifarla”. Da qui, la catena di brevi contenuti di cui (gran) parte del pubblico si riconosce già spettatore: il food porn, i litri di cheddar dall’alto, le mozzarelle di bufala che ne contengono di più piccole, la gente che cammina per strada con taglieri enormi e i chiropratici di cani. “Li detesto, ma li guardo tutti”.

C’è poi un’altra stranezza che Calgaro, nato e cresciuto a Baggio, percepisce: la dipendenza dagli psicologi nel milanese e le autodiagnosi che i giovani si fanno con Internet: “Nessuno della mia generazione sta bene, tutti abbiamo qualcosa. Vedi gente che dice: è da quattordici  anni che vado dallo psicologo. È troppo tempo zio, non sta funzionando! È come se qualcuno ti dicesse che ha il gesso da quattordici anni, è troppo e hai finito lo spazio per le dediche!”.

Nella descrizione comica di tanti frammenti del presente, Calgaro coglie una verità precisa: trovare il proprio posto in un mondo contraddittorio e surreale non è semplice. Saper ridere di se stessi, della vita e di ciò che sfugge alla comprensione – sembra dirci però con il suo spettacolo – non è solo una possibile via per oggettivare e relativizzare la propria prospettiva, ma anche un modo per conoscersi e connettersi agli altri.

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