Giancarlo Caselli, ex procuratore capo di Torino e Palermo, è qualcuno che il crimine organizzato l’ha guardato dritto negli occhi e non ha esitazioni nel ripercorrere il “fil rouge” del fenomeno in Italia. “C’era una volta – dice – che la mafia non esisteva. Uccideva, ma non esisteva, nel senso che personaggi illustri negavano pubblicamente la sua esistenza. Fin da quando l’Italia era ancora una monarchia, nel 1902, quando un Procuratore generale alla Corte d’Appello di Palermo disse testualmente: “non se ne può più di sentir parlare di mafia senza provare un senso di nausea e di disgusto”.
Il pubblico – che ha risposto numeroso alla presenza dell’ex magistrato ieri, martedì 11 febbraio, al nuovo polo universitario di Aosta, tanto che con l’aula magna non ancora aperta, ci sono volute tre sale (due con la trasmissione in streaming della “lectio magistralis”) per accogliere tutte le persone giunte – sgrana gli occhi incredulo. Lo sgomento sale con un episodio del 1975, quando un altro magistrato, stavolta di Cassazione, che nel processo per l’assassinio di un sindacalista dice: “gli imputati non sono mafiosi, bensì portatori di una mentalità mafiosa”.
“Bestemmie”, per Caselli, anche perché “sostenevano, ovviamente con diverse declinazioni, il patto di coabitazione, che per certi profili ha caratterizzato tutti i successivi contesti economico-istituzionali nella nostra storia, fino ai giorni nostri”. Oggi, finalmente, si riconosce l’esistenza della mafia, nel codice penale esiste l’articolo 416 bis che punisce le associazioni di tipo mafioso, ma – avverte l’ex Procuratore – “il negazionismo di ieri non è superato”. Ha cambiato, facendosi più subdolo, le coordinate su cui interviene.
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“Non si può più negare l’esistenza della mafia, – sottolinea Caselli, parlando a fianco della moglie Laura – ma si prova a negare la configurabilità del concorso esterno”. Ancora una volta, l’ex magistrato non ha esitazioni nell’andare a fondo della questione: “Il capostipite di questi negazionisti è stato Silvio Berlusconi. In due interviste del 2003 disse: ‘la nota magistratura comunista di sinistra ha creato un reato, un tipo di delitto, che non è nel codice”. Eccome se c’è, invece, esclama Caselli.
“I mafiosi sono gangster, ma se fossero solo questo non li avremmo tra i piedi da 200 anni”, sottolinea il già Procuratore capo, ricordando che le “relazioni esterne con il mondo legale” e i concorrenti esterni “sono la spina dorsale e consentono alla mafia di andare avanti”. Ai giorni nostri, il quadro è ancora cambiato, perché in assenza di fatti di sangue (che nel tempo non sono mancati, come l’uccisione, nel 1983, di Bruno Caccia a Torino e l’attentato dinamitardo al pretore Selis ad Aosta, entrambi ricordati da Caselli), “la mafia non esiste quando non uccide”.
Al riguardo, viene ricordata la sentenza del processo Minotauro, sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta in Piemonte, che sancisce e definisce la “mafia silente”. Le organizzazioni criminali hanno sviluppato la capacità di “ibridarsi, al fine di non essere percepita come pericolo incombente là dove decidono di stabilirsi”. A ciò si aggiunge che, “la mafia ha necessità di riciclare denaro sporco e deve andare al nord dove, nonostante la crisi, ci sono i soldi”.
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Il risultato è che “le mafie al nord solo consolidate”, con le porte “rimaste spalancate” per la ‘ndrangheta “in Piemonte e anche in Valle d’Aosta. E così la ‘ndrangheta ha registrato una curva in crescita e un contrasto all’inizio quasi inesistente. Ecco perché occorre una magistratura sempre più indipendente che in tanti ancora oggi non vogliono. Se l’acqua bagna, bisogna attrezzarsi e aprire gli ombrelli, ma pochi lo hanno fatto, nonostante in questi ultimi 30 anni di sirene di allarme ne siano suonate tante e forti”.
Sulle strategie di lotta al fenomeno mafioso – richiamando anche le notizie delle ultime ore, su indagini dalle quali sono emerse le capacità di detenuti in carcere per mafia di comunicare con l’esterno, attraverso apparecchiature sofisticate – Caselli ha osservato che “con buona pace del ministro Nordio, i mafiosi telefonano”. Più in generale, “si registra il passaggio della mafia dalle strade alle stanze ovattate dei Consigli d’amministrazione e delle centrali finanziarie”.
Proseguendo nella lezione (co-organizzata dalla Fondazione comunitaria, dall’Università della Valle d’Aosta e da Cittadinanzattiva, con il patrocinio del Consiglio regionale), parlando di un’altra pagina della sua esperienza, quella contro il terrorismo, l’ex procuratore ha individuato nell’impegno civico dei cittadini un elemento in grado di fare la differenza. “Le assemblee che si facevano con la gente – ha detto – isolarono dal punto di vista sociale il terrorismo. I terroristi che pensavano di essere avanguardia di una rivoluzione diventarono avanguardia solo di loro stessi”.
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Per le organizzazioni criminali vale lo stesso, giacché – dopo che le lenzuola bianche apparvero sui balconi, in protesta contro le mafie – quando i boss del quartiere Brancaccio di Palermo ordinarono di farle togliere “ricevettero un no perché era impossibile, erano troppe”. Da questo punto di vista, Caselli (che è presidente onorario di Libera), ringraziando due ragazzi che hanno testimoniato della loro esperienza con le cooperative che lavorano nelle terre confiscate ai clan, ha ricordato che l’impegno passa anche per i prodotti di quei campi, perché “hanno una vitamina in più, la L di libertà”.