La casa come specchio sociale: tra accoglienza e barriere invisibili

Un evento nell'ambito della rassegna Miroir ha intrecciato esperienze di affitti, cortometraggi e proposte concrete per un abitare più inclusivo, come il progetto "Habita", che vuole accompagnare i cittadini di Paesi terzi nel loro percorso abitativo, e il progetto di recupero sociale di Casa Zaccheo.
Le case che siamo
Società

“La locuzione ‘rispetto a’ deriva dal verbo latino respicere, ovvero guardare indietro, guardare nuovamente per valutare. La parola ‘rispetto’ compie un passaggio fondamentale: dal sé agli altri. Il rispetto è qualcosa coltivato nello spazio interstiziale, dell’altro e dell’altrove.” – così Valentina Porcellana, docente di Discipline demoetnoantropologiche del Dipartimento di Scienze umane e sociali dell’Ateneo valdostano, è entrata nel vivo del terzo incontro della rassegna “Miroir”,  dedicata quest’anno al tema del rispetto, “Le case che siamo: spazi da vivere, storie da accogliere”, che si è tenuto ieri sera presso l’Università della Valle d’Aosta. 

Durante l’evento, tre cortometraggi tematici selezionati da Alessia Gasparella, presidente di AIACE VDA, hanno offerto lo spunto per avviare un dialogo aperto e corale sul tema del diritto alla casa. Attorno a un cerchio improvvisato e informale moderato da Valentina Porcellana, si sono susseguite voci e testimonianze che hanno affrontato argomenti come le difficoltà economiche nell’accesso agli affitti per gli studenti fuori sede, il ruolo della mediazione culturale nel favorire l’integrazione, le difficoltà che molte persone, tra cui anziani, persone con disabilità, con disagio mentale e straniere, incontrano nell’abitare e i modi in cui l’accompagnamento sociale e istituzionale possano essere una via per abitare la casa con dignità, autonomia e serenità. L’incontro ha posto al centro l’idea di casa non solo come spazio fisico, ma come luogo psicologico, simbolico e relazionale di accesso, accoglienza e diritti. In risposta a queste problematiche, sono stati presentati progetti concreti, in avvio o già avviati, come “Habita”, rivolto a cittadini da Paesi terzi e pensato come percorso di accompagnamento all’abitare, e Casa Zaccheo, pensata per offrire soluzioni abitative inclusive.

Casa e identità: tra bisogni e diritto ad abitare

L’esperienza di Luca Carlini, studente torinese fuori sede che frequenta la facoltà di psicologia presso l’Ateneo valdostano, ha aperto il tema del diritto alla casa partendo dal suo vissuto quotidiano: cercare un alloggio ad Aosta per poter studiare. Per lui, il problema non è tanto trovare una casa per studenti, quanto sostenere i costi, spesso sproporzionati per un giovane. “Pagare 400-500€ al mese è difficile. Per fortuna, quando sono venuto a conoscenza dello studentato messo a disposizione dall’università, mi sono iscritto subito e sono stato accettato. Spero che l’ateneo rinnovi il contratto altrimenti dovrò cercare un’altra soluzione.” – ha detto.

Affitti e pregiudizi: chi può abitare?

Jean Frassy, che ha affittato l’alloggio ricevuto dal padre a una famiglia malese, ha raccontato la sua esperienza di affitto come un percorso di trasformazione dello sguardo, dall’iniziale attenzione verso un bene carico di significati affettivi alla relazione di fiducia e scomparsa del senso di alienità. “Il problema è che non vediamo le persone, ma le rappresentazioni sociali prima delle persone.” – ha detto, suggerendo come l’incontro reale possa abbattere barriere e stereotipi.

Questa trasformazione dello sguardo non è però la norma. La realtà, come hanno sottolineato Arnela Pepelard della cooperativa L’Esprit à l’Envers e Tiziana Gagliardi dell’associazione EnAIP VdA, è più complessa: “Nonostante molti cittadini stranieri abbiano oggi un lavoro stabile, spesso incontrano rifiuti espliciti o mascherati nel mercato degli affitti.” – ha detto Arnela. Il conflitto che un tempo ruotava attorno al lavoro, oggi sembra essersi spostato sulla casa.

Molti contratti di affitto non vengono rinnovati, colpendo in particolare le persone anziane che, nonostante abbiano sempre pagato regolarmente, si trovano a dover lasciare la propria abitazione per decisioni dei proprietari.” – ha aggiunto, sottolineando come questa situazione diventi difficile per chi non ha alternative o per chi si trova a dover lasciare la praticità del centro per i comuni più lontani.

Tiziana Gagliardi ha poi esteso il problema alla collettività: “Il problema della casa riguarda tutti, non solo chi ha un background migratorio o categorie più vulnerabili. Le case ci sono, ma restano vuote: è sulle rappresentazioni che bisogna agire.” – ha detto.

Il progetto “Habita” e Casa Zaccheo

Nel corso dell’incontro, sono emerse anche soluzioni concrete per affrontare le sfide legate al diritto all’abitare. Un esempio è la co-progettazione “Habita”, gestita delle cooperative La Sorgente, L’Esprit à l’Envers, EnaAIP VdA, e in arrivo entro l’estate 2025, che vuole creare percorsi di accompagnamento all’abitare per cittadini stranieri, ma anche occasioni di riflessione con la popolazione su cosa ci impedisce di convivere.

Un altro esempio che invita alla partecipazione è Casa Zaccheo, nata dal desiderio di un giovane e sostenuto da un’associazione di famiglie. Una casa da ristrutturare e restituire alla comunità, pensata come spazio di rigenerazione delle relazioni: “La casa non è il fine, ma il mezzo,” ha ricordato Michela Colombarini, che insieme all’associazione “L’albero di Zaccheo” attende con fiducia i fondi per poter procedere nel progetto. “Questa casa è da offrire alla comunità, abbiamo bisogno di rete e di uscire dall’invisibilità.” – ha aggiunto.

“Solo insieme si può fare la differenza, insieme e con forme creative come dei cohousing o la risistemazione di beni attraverso cui le persone possano trovare spazi di convivenza e di vita. La casa non è solo un diritto individuale, ma una responsabilità collettiva.” –  ha ricordato infine l’assessora Clotilde Forcellati.

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