Le tombe di famiglia nel frigorifero: Carlo Petrini spiega Slow Food agli studenti

Il fondatore del movimento per la tutela dei prodotti del territorio è stato invitato a parlare dalla Facoltà di Scienze politiche, a St. Christophe. Alla base della filosofia di Slow Food, il rispetto dell’ambiente e della cultura alimentare contadina.
A destra Carlo Petrini
Economia

“Perdere un formaggio è come buttare giù una cattedrale gotica, è come cancellare un patrimonio inestimabile”. Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, non è abituato a pesare le parole. La filosofia di Slow Food, movimento internazionale che ha fondato nel 1986 si può riassumere così: “il cibo è politica”. 

Non per nulla è stata la facoltà di Scienze politiche ad invitarlo in Valle. Gli studenti hanno riempito un’aula della sede distaccata dell’ateneo valdostano, a Saint Christophe, per ascoltarlo. “Il sistema alimentare è il principale responsabile del disastro ambientale del pianeta: da questo derivano l’inquinamento, le diseguaglianze sociali, lo sterminio delle specie vegetali e animali, lo stravolgimento delle microeconomie locali, i rischi per la salute dovuti all’uso indiscriminato della chimica. Quando l’ho capito io stesso sono rimasto frastornato” ha ammesso.

In effetti Slow Food, anzi, Arcigola, come si chiamava, era nato inizialmente per radunare raffinati gastronomi ed esteti del gusto. Fino alla svolta. “Negli anni novanta, di fronte alla scomparsa massiccia della biodiversità, non abbiamo potuto chiudere gli occhi e fare i gourmet incoscienti. Un gastronomo che non si cura della salute della terra, fonte del cibo stesso, è uno stupido”. In questi anni la “rivoluzione lenta” del cibo ha conquistato una moltitudine di persone.

Sono 250 i presidi di Slow Food in Italia, e altri 500 hanno visto la luce nel resto del pianeta. Il movimento è presente in 90 paesi, 140 se si considera una delle sue emanazioni, Terra Madre, una rete di comunità che si impegnano concretamente a tutelare i prodotti e i produttori agroalimentari locali, spesso schiacciati dalla concorrenza delle multinazionali.

“Non son un passatista” spiega Petrini. “Non rimpiango un passato ancora recente, fatto di miseria contadina, ignoranza e arretratezza. Penso, piuttosto, a un futuro in cui il consumatore diventa co-produttore, cittadino responsabile e consapevole, educato al gusto e al rispetto dell’ambiente. Un mondo in cui la tradizione e la scienza dialogano, e i contadini ottengono il giusto riconoscimenti per il loro lavoro. In effetti, non sono solo produttori, ma portatori di conoscenze inestimabili. Inoltre garantiscono la fertilità e la salute del suolo, organizzano lo scolo delle acque, mantengono l’assetto idrogeologico, tutelano il territorio”. Eppure ogni giorno assistiamo alla lenta morte del pianeta. Come si è arrivati a questo? Il cibo, ha sottolineato l’oratore, non ha più un valore, ovvero una sua sacralità, fatta di condivisione e rispetto, ma ha solamente un prezzo. E allora cessa di essere un bene importante. “In Italia ogni giorno gettiamo quattromila tonnellate di cibo commestibile. Intanto un miliardo di persone è malnutrita, e un altro miliardo soffre di malattie dovute all’ipernutrizione. E’ un sistema criminale a permettere che questo accada”.

In chiusura, Petrini scherzosamente ha citato Giovanni XXIII, per invitare i presenti a una maggiore consapevolezza. “Questa sera, quando tornate a casa, oltre a dare una carezza ai vostri bambini, aprite il frigo e osservate quante tombe di famiglia avete stipato lì dentro. C’è il prezzemolo che invoca pietà, ci sono le conserve con un leggero strato di muffa che getterete nella spazzatura. I piatti migliori si fanno con gli avanzi. Ci vogliono fare credere che la politica e l’economia non ci riguardino, ma abbiamo tra le mani una grande opportunità di democrazia partecipativa, e parte dall’alimentazione, la base della nostra sopravvivenza”. 

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