Giovani malesseri

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“A 22 anni pesavo 105 chili. Odiavo quel corpo”

di Alice Dufour

“Ero destinata a una vita da ‘persona grossa’ perché avevo ereditato la costituzione di mia mamma”. Morena Danna, oggi Vice Sindaca di Montjovet, parla della sua battaglia contro l’obesità. Una lotta che ha scelto di raccontare e condividere nel libro “Le sue ragioni”, uscito a metà dicembre.

“Durante la mia infanzia, alle elementari, mi vergognavo più ad avere una mamma obesa, piuttosto che del mio essere robusta”. Le cose cambiano durante l’adolescenza quando Morena si sposta da Montjovet a Verrès per frequentare medie e superiori. “È stata una tragedia” spiega. “Salivo sull’autobus e mi dicevano sei cicciona, non sederti. Così arrivata davanti a scuola, non entravo”. Questa è solo una delle difficoltà affrontate. “Oltre ad avere un corpo ingombrante, ti senti tutti gli occhi addosso” e diventi il bersaglio dei bulli. “Questi atteggiamenti sono devastanti per chi li riceve. Spesso vi sono conseguenze che ti porti dietro per anni, se non per tutta la vita: certe occhiate, certe affermazioni lasciano una ferita perenne. Quegli sguardi e quelle risate mi hanno tormentata per anni”.

Salivo sull’autobus e mi dicevano sei cicciona, non sederti”

Morena Danna
Morena Danna

“Per gli altri era normale che io fossi grossa perché mia mamma è sempre stata obesa”

“A casa si mangiava senza regole. C’era una cultura alimentare differente da quella di oggi. Nessuno prestava attenzione a queste cose. Per gli altri era normale che io fossi grossa perché mia mamma è sempre stata obesa. Così ero e così dovevo rimanere”. Da ragazza obesa, apparentemente rassegnata, Morena inizia anche a soffrire di bulimia. “Per me era impossibile dimagrire e l’azione di vomitare non era finalizzata a perdere chili. Era rabbia”.

La svolta arriva a 22 anni. “Un giorno, per caso, sono andata dal medico di famiglia per delle ricette destinate ai miei genitori. Lui mi ha pesata, io non lo facevo mai. Su un post-it giallo ha scritto 105 chili”. In quel momento, “mi sono resa conto che dovevo fare qualcosa. Ho capito che dovevo amarmi. Odiavo quel corpo”. Morena passa all’azione e inizia la sua battaglia contro l’obesità. “Ho preso una cyclette e ho iniziato a pedalare. Mi vergognavo ad andare in bici. Ho perso, anche sbagliando, 35 chili in circa 8 mesi”.

Ho capito che dovevo amarmi.
Ho preso una cyclette e ho iniziato a pedalare”

Negli anni successivi al dimagrimento, Morena si è sottoposta a due interventi di chirurgia estetica. “Avevo mille smagliature e cute in eccesso”. Il primo, un lifting braccia e gambe della durata di sette ore, a 40 anni. Il secondo, finalizzato alla ricostruzione della parete addominale, a 42 anni, lo scorso 10 giugno presso l’Ospedale C.T.O di Torino. “È in quest’occasione che ho iniziato a raccontare la mia storia in un volume”, spiega Morena. “Un libro difficile da scrivere. Viviamo in una comunità piccola e spesso non è facile esporre le proprie fragilità, dalla non accettazione del proprio corpo ai problemi di bulimia. Ho deciso di pubblicarlo nella speranza che possa essere uno spunto o un aiuto per qualcuno”.

Un libro difficile da scrivere. Viviamo in una comunità piccola e spesso non è facile esporre le proprie fragilità

Per anni ho odiato un corpo che non mi apparteneva. Poi ho iniziato, giorno dopo giorno, ad amarlo e a prendermene cura”. Oggi, da genitore, dichiara “credo che da noi adulti debba partire un’educazione alimentare corretta”. Afferma l’importanza di “approcciare i bambini allo sport e a un regime alimentare sano, ma soprattutto far capire ai nostri figli che se un bimbo è in sovrappeso non va preso in giro né bullizzato per il suo stato fisico”.

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Il libro di Morena Danna

Il versante oscuro dei disturbi alimentari

di Giorgia Gambino

Perlopiù offuscata dalla più diffusa anoressia e dalla più controversa bulimia, l’obesità rappresenta uno dei disturbi alimentari maggiormente oggetto di critica, molestia e sopruso verbale e non verbale da parte di pari e adulti, insegnanti e datori di lavoro. Circa il 2% dei pazienti italiani soffre della cosiddetta grave obesità, patologia che li porta a essere frequentemente stigmatizzati per la propria forma fisica o bullizzati proprio a causa della malattia.

Stigmatizzati per la propria forma fisica o bullizzati
proprio a causa della malattia

Quasi un terzo di questi individui risulta suo malgrado afflitto da un correlato disturbo psichiatrico denominato disturbo da alimentazione incontrollata o binge eating disorder, il quale li induce a ingurgitare cibo in quantità smisurate e senza freno durante attacchi compulsivi a seguito dei quali non possono che provare senso di colpa e depressione.

L’obesità è una delle patologie prese in carico dalla clinica Dahu, struttura immersa nel paesaggio montuoso della Val d’Ayas e nella quiete dei circa 1300 metri di quota di Brusson, circondata da oltre 5,500 ettari di verde.

Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson
Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson

La clinica, che attualmente ospita 77 pazienti, un tempo era adibita a struttura di accoglienza estiva dei figli e delle figlie dei dipendenti dell’azienda Olivetti.

Gestito dalla società cooperativa sociale onlus Codess, il centro riabilitativo e terapeutico si compone di tre principali nuclei di cura immediatamente riconoscibili anche dalla disposizione esterna dei vari blocchi dell’edificio. Ognuna delle zone possiede un giardino privato dove i degenti possono trovare occasioni di incontro e socialità o cercare pace e ristoro.

Sotto la direzione sanitaria del medico specializzato in neuropsichiatra infantile Fulvio Guccione, la clinica accoglie al suo interno sia ragazzi affetti da disturbi del comportamento alimentare, sia minori quotidianamente alle prese con problematiche relazionali e psicologiche, sia più gravi ricoverati psichiatrici. Grazie al sostegno giornaliero di mini équipe formate da medico, psicologo, educatore e oss – cui vanno a sommarsi dietologo e dietista nel caso di patologie nutritive -, ogni ospite segue un apposito piano terapeutico riabilitativo individualizzato, una sorta di contratto simbolico che impegna tanto lui quanto il team che se ne occupa nell’intraprendere e nel portare a termine un percorso di inserimento e cura della durata minima di 3 mesi.

Disturbi del comportamento alimentare, disturbi psichiatrici
e problematiche relazionali e psicologiche

Aggirandosi tra i corridoi della clinica Dahu non è raro imbattersi in psicologi ed educatori intenti a scambiare qualche parola o un cenno del capo con i pazienti: come in una grande famiglia allargata, un contesto di arrivo che vuole permettere ai degenti di riprendere in mano, per quanto possibile, la propria vita grazie anche all’umanità dei professionisti che vi lavorano.

La clinica di Brusson che prova a curare i disturbi alimentari

Intervista al dottor Giuseppe Rovera

Cosa si intende per obesità? Per definire il grave obeso esiste l’indice di massa corporea (o body mass index) che risulta dalla divisione del peso (in kg) per l’altezza (espressa in metro quadrato): quando questo numero è maggiore di 40 si parla di grave obesità.

La stigmatizzazione

Intervista al dottor Giuseppe Rovera

Prendere in giro il paziente che soffre di una grave obesità significa stigmatizzare e dunque peggiorare la sua malattia e il suo stato psicofisico, innescando di fatto un processo di una emarginazione e di generale peggioramento. Il paziente non va mai deriso ma incoraggiato e spronato.

Il bullismo

Intervista al dottor Giuseppe Rovera

Il bullismo, nella forma della violenza sia verbale che fisica, perpetrata ai danni di un malato di grave obesità, può portare in casi estremi anche al suicidio.

L’alimentazione incontrollata

Un terzo dei pazienti trattati per grave obesità soffre di “alimentazione incontrollata e compulsiva”, ovvero di Binge Eating Disorder: in questo caso la persona ingurgita una grande quantità di cibo in maniera molto rapida e frenetica senza però sentire il gusto di ciò che sta ingerendo. Spesso questa patologia psichiatrica è correlata ad abusi sessuali subiti dal paziente durante l’adolescenza.

Il percorso terapeutico

L’alleanza teraupetica e l’autenticità del rapporto tra il paziente ed il medico sono fondamentali per affrontare un processo di cura insieme che deve coinvolgere anche la famiglia.

Mangiare cinque pasti al giorno

è una sfida per i pazienti

Quotidianità alimentare

Sono di fatto i 5 pasti principali a scandire, alternandosi a momenti di svago e lezioni scolastiche, la quotidianità delle 15 ragazze ricoverate all’interno del nucleo della clinica Dahu dedicato ai disturbi alimentari. La malattia che ha attanagliato le loro vite nella morsa di un rapporto deviato con il cibo trasforma un gesto per altri spontaneo e quasi piacevole come mangiare in una autentica sfida, che esse affrontano con costanza e determinazione giorno dopo giorno grazie al supporto di operatori e dietisti.

“Oltre a patologie di minore diffusione quali per esempio l’ingestione di oggetti o capelli o la tendenza alla ruminazione, le tre principali e più diffuse malattie da noi seguite sono l’anoressia, che consiste in un rifiuto del cibo causato da una errata percezione del proprio corpo, la bulimia, che porta ad abbuffate immediatamente seguite dall’induzione volontaria del vomito, e l’alimentazione incontrollata – illustra Manuela Marchese, coordinatrice e psicoterapeuta dell’area -. Questi disturbi affliggono soprattutto le ragazze tanto maggiorenni quanto minorenni, anche se di recente stiamo assistendo a un preoccupante calo dell’età media del loro esordio sino alla fascia compresa tra i 14 e i 17 anni”.

Scende l’età in cui si manifestano i disturbi
del comportamento alimentare

Combattere contro le apparenze

Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson
Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson

Uno dei timori maggiori per le giovani pazienti della struttura di Brusson è rappresentato dallo specchio, un subdolo e imprevedibile nemico sempre pronto a trarle in inganno acuendo l’immagine di un aspetto fisico lontano dagli inarrivabili canoni di bellezza esaltati da televisione e social media.

“L’obiettivo del percorso intrapreso è sempre quello di favorire, attraverso una costante azione di controllo, un riequilibrio del versante legato al cibo – illustra ancora Marchese -. Parallelamente, il lavoro si focalizza anche sulla ricerca della stima di sé in chiave relazionale, punto di partenza per la finale accettazione di un corpo non eccessivamente magro o grasso bensì armonioso nelle sue forme”.

L’obiettivo è riportare i pazienti ad avere stima di sé stessi, accettando un corpo armonioso nelle sue forme

Se ogni giorno di normalità alimentare finisce con il divenire per le ragazze una meta da raggiungere lottando contro se stesse e la propria psiche, la permanenza all’interno della clinica Dahu non manca di arricchirsi anche di piccole e saltuarie battaglie: esulando dalla routine riabilitativa, le degenti hanno alle volte occasione di sperimentare uscite sul territorio finalizzate ad acquisti personali, visite a musei, castelli o fiere oppure a testare, grazie all’aiuto dei professionisti che le seguono, alimenti per loro difficili da ingerire poiché eccessivamente calorici o comunque giudicati negativamente.

“Cerchiamo di coinvolgere il più possibile le ricoverate in gruppi di confronto e gruppi di dieta e psicoterapia che le conducano al dialogo e all’arricchimento reciproci – chiarifica infine Marchese -. È soltanto se emotivamente pronte e se affiancate da un medico specializzato che possono essere legittimate a praticare ginnastica e attività fisica in palestra, un gesto di norma consueto per le loro coetanee che rischia di generare una ricaduta nella malattia se non gestito correttamente”.

Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson
Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson

Supporto famigliare e inclusione scolastica

Le stanze delle ragazze del nucleo dedicato ai disturbi alimentari sono un inatteso tocco di colore in mezzo al bianco standard dei muri della clinica: trapunte rosso acceso, cuscini a fiori o a scacchi e peluche di ogni forma e dimensione addobbano camerate singole o doppie che ognuna delle ospiti cerca di rendere un po’ più sua e un po’ più simile alla propria cameretta.

“Larga parte delle pazienti proviene da regioni esterne alla Valle d’Aosta, cosa che spesso non fa che acuire la loro nostalgia per genitori, fratelli e amici da cui sono separate per un periodo minimo che oscilla tra i 3 e i 6 mesi – racconta l’educatrice Cinzia Tomassini -. Tuttavia, nonostante la lontananza, la famiglia riveste un ruolo centrale nel lavoro della ragazza e viene non soltanto coinvolta in decisioni cliniche o suggestioni di cura bensì anche in forme di terapia e specifici colloqui”.

Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson
Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson

All’interno dei locali comuni del polo di Brusson non è raro imbattersi in spazi adibiti ad aula scolastica con tanto di sedie e scrivanie sulle quali le degenti hanno gettato alla rinfusa cancelleria e materiale didattico che utilizzano per seguire le proprie lezioni a distanza.

“Accanto ad alcune ragazze in grado, laddove reso possibile dalla malattia, di essere inserite all’interno delle scuole della zona, larga parte delle pazienti frequenta quotidianamente le lezioni della propria scuola di origine tramite il sistema della didattica a distanza – conclude Tomassini -. Alcune giovani particolarmente diligenti e in fase di recupero possono godere di graduali permessi per fare rientro a casa e, nel caso, recarsi fisicamente in classe per incontrare professori e amici e mantenere così attiva e viva una socialità lasciata sfuggire dal disturbo”.

Giovani e disturbi psichiatrici

Non sono soltanto la malattia e le conseguenze che porta a descrivere e caratterizzare i 32 pazienti psichiatrici della clinica Dahu, che dal 2016 possono trovare all’interno del nucleo dedicato non soltanto uno spazio di vita e di espressione di sé ma anche una benevola accoglienza. Differenziati per entità e gravità del disturbo, alcuni di loro finiscono con l’aggrapparsi con tenacia alla struttura che li ospita divenendo costanti presenze nella quotidianità degli operatori del plesso nonché preziosi collaboratori per servizi quali mensa e pulizie.

Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson
Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson

“La fascia di età dei ricoveri oscilla tra i 18 e gli 80 anni per entrambi i sottonuclei del polo, l’uno dedicato ai cronici e l’altro invece ai cosiddetti estensivi, pazienti che hanno delle possibilità di guarigione – spiega la psicologa e referente dell’area Michelle Herbet -. Tra le patologie trattate figurano, tanto tra i ragazzi quanto tra gli adulti, schizofrenie, depressione, disturbi bipolari o di personalità e ritardi mentali, alcuni aggravatesi durante il periodo pandemico a causa del costretto isolamento dall’esterno”.

Esplorando la clinica Dahu dall’interno, la sezione pensata per i malati psichiatrici spicca rispetto alle altre per la sua somiglianza con un qualsivoglia reparto ospedaliero: i muri sono bianchi e spogli, l’odore di disinfettante brucia nelle narici, i letti sono regolabili quanto ad altezza e posizione per agevolare il riposo, girelli e sedie a rotelle sono disseminati tra stanze e corridoi come supporti al movimento dei più deboli e pareti trasparenti e i monitor garantiscono un immediato intervento in caso di necessità.

“Sono davvero molti i ricoverati che vedono diminuire giorno dopo giorno le proprie possibilità di guarigione da malattie che, così rapide come sono arrivate, finiscono con il non lasciare scampo alla loro psiche – ammette ancora Herbert, spiegando che sono nello specifico gli anziani impossibilitati alla convivenza con altri coetanei all’interno di RSA o microcomunità a essere destinati alla permanenza definitiva -. Ciò che ciascuno di noi medici e addetti alla persona cerca sempre di tenere a mente nello svolgere le proprie mansioni di attenzione e appoggio è il fatto che patologie silenti come quelle che attanagliano la mente possono colpire tanto noi quanto i nostri cari con le medesime imprevedibilità e violenza”.

L’educazione alla cura di sé

Sfogliando i faldoni personalizzati dei vari pazienti della clinica Dahu, è facile rendersi conto degli sforzi costanti e dell’impegno che essi profondono nella ricerca di quella normalità negata loro dalla malattia: è infatti attraverso la serie di fogli riempiti di progetti artistici, disegni, canzoni, poesie, riflessioni profonde e qualche scarabocchio che compone una sorta di diario di bordo che trascorre una routine quasi confortante nella sua monotonia.

Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson
Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson

“Il lavoro con i lungodegenti si basa in sostanza sulle abilità residue e sull’assistenza alle vulnerabilità individuali che ciascuno di essi affida totalmente e spesse volte difficoltosamente agli psicologi e agli educatori che li seguono – continua Herbert -. Fondamentale risulta la professionalità degli operatori sociosanitari della nostra area, un prezioso team cui i pazienti donano volontariamente se stessi e le proprie debolezze per riceverne in cambio sostegno e amicizia”.

Non è raro che l’isolamento della psiche dei ricoverati conduca persone un tempo serene e libere nella propria esistenza a ritrovarsi prigioniere di un vuoto che le porta a perdere per sempre sé stesse e coloro che amano.

“Uno dei primi aspetti che gli ospiti cronici tendono a lasciare indietro è proprio la cura di sé e del proprio corpo, ciò che ci spinge ogni giorno a sforzarci per insegnare loro non soltanto a mantenere la propria apparenza fisica bensì anche a badare all’ordine di spazi privati e comuni – racconta l’educatrice Hegle Gramaglia -. Sono sufficienti un sorriso e un complimento a rallegrare le loro giornate oltre che a invogliarli a migliorare sé stessi un poco alla volta grazie a gesti semplici come un passaggio di trucco, una manicure, una pettinatura diversa o un accessorio nuovo”.

Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson
Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson

Il ritorno alla vita

Per chi non ha un disturbo cronico la speranza di riprendere in mano i fili della propria vita ritrovando il cammino che hanno smarrito a causa del proprio disturbo risulta ancora auspicabile: la parola chiave per loro diviene dunque “indipendenza”, un traguardo che si impegnano mesi o addirittura anni per raggiungere in funzione di un futuro reinserimento sociale e professionale.

“Ci focalizziamo sulle più disparate tipologie di autonomie di base, domestiche o lavorative, basandoci su attività come laboratori di cucina, fotografia, disegno, scrittura e yoga strutturate sulla base della stagionalità o delle festività – sostiene Gramaglia -. Se per esempio in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne abbiamo spinto i pazienti a confrontarsi con la tematica, in occasione di festività quali Halloween o Natale cerchiamo di rifare un po’ il look al centro con decorazioni personalizzate”.

Alcuni degli ospiti della clinica Dahu sono anche in grado di mantenere attivi i propri rapporti interpersonali nonché vive le proprie passioni grazie alle uscite sul territorio saltuariamente programmate tra Brusson e comuni limitrofi; indipendentemente dalla natura della patologia che li affligge, alcuni gruppi vengono anche coinvolti nell’organizzazione e nello svolgimento di eventi locali al fine di far conoscere la realtà medica della struttura ai residenti e di agevolare l’integrazione nella regione soprattutto dei ragazzi giovani.

Il peso del disagio

Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson
Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson

L’atmosfera delle feste ammanta in questi mesi anche la clinica Dahu, addobbata con luminosi alberi di Natale, decorata con ghirlande realizzate e disposte ad hoc dagli ospiti più giovani e velata di un sentore di leggerezza e calore tipicamente invernali. Allungando l’occhio e prestando attenzione, sul bancone della reception due piccoli elfi di Babbo Natale ammiccano ai visitatori con i loro cappelli a punta e le loro lunghe e folte barbe bianche: creati dai ragazzi e dalle ragazze dai 14 ai 18 anni ricoverati all’interno del nucleo misto dedicato alla cura mentale dei giovani adulti, saranno in seguito esposti nei mercatini della zona per essere venduti.

Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson
Il Centro riabilitativo e terapeutico Dahu di Brusson

“Il gruppo, ridotto alla sola decina di malati, si compone di persone differenziate per patologia psichiatrica di base e sua gravità, spaziando dai disturbi di comportamento o umore ai deficit da attenzione e all’iperattività, dalla tendenza allisolamento alla pratica di gesti autolesivi e tentativi anti conservativi – nota Carmela Bevente, coordinatrice dell’area minori -. Tali comportamenti privi di regole possono aggravarsi in alcune casistiche più preoccupanti andando alle volte a scaturire in fenomeni di abuso di sostanze stupefacenti, piccoli reati o dipendenze da gioco”.

Un passo verso il reinserimento

Per i ragazzi la clinica di Brusson rappresenta uno degli approdi finali dopo il ricovero allinterno di reparti psichiatrici o di strutture di cura o detenzione minorile varie: come raccontano gli operatori, tra di essi alcuni “veterani” di origine non valdostana hanno finito con l’innamorarsi della regione uscendo a esplorarne sentieri e paesaggi o spingendosi ad apprenderne mestieri e tradizioni quali per esempio la lavorazione del legno o la produzione casearia.

“Durante i primi giorni di permanenza è frequente imbattersi in giovani incapaci persino di mangiare o di curare sé stessi e i propri spazi privati in autonomia poiché privi di quel rispetto e di quella educazione che stanno di fatto alla base del vivere civile – commenta ancora Bevente -. Sarebbe difficile tanto immaginare quanto descrivere la soddisfazione che anche soltanto notare progressi quali il miglioramento di pulizia o postura, sintomi di un passo avanti nel proprio percorso di riabilitazione, regalano a noi esperti e assistenti”.

Il ruolo della famiglia

In fuga dalle proprie patologie con lo sguardo sempre allerta in attesa del prossimo agguato inferto dalla malattia, i minori della clinica Dahu celano storie personali fatte di astio genitoriale, povertà economica e relazionale, casistiche di abusi emotivi e fisici incise sulle loro pelli e impresse nelle loro già provate psichi.

“Si tratta di nuclei di provenienza che non fanno che peggiorare la componente biologica della patologia del singolo, forme di trascuratezza e negligenza che mancano di quel supporto alla crescita e all’adolescenza senza il quale il ragazzo si sente inevitabilmente perso – osserva Bevente -. I giovani, in passato vittime di percosse e vessazioni o di abbandono e allontanamento da parte dei propri affetti, spesse volte esprimono volontà di lesione o suicidio residui dei traumi vissuti in famiglia o approdano ai servizi psichiatrici invianti della regione dopo essere fuggiti dalle proprie case e dal proprio dolore”.

Sostituendosi a un insano ambiente di crescita di partenza, il centro riabilitativo e terapeutico di Brusson abbraccia ragazzi lasciati soli in balia di se stessi e delle proprie problematiche tentando di insegnare loro lezioni e modelli funzionali a un possibile reinserimento in società.

“Tra le altre attività interne al polo proponiamo gruppi parola, corsi di nuoto e hip hop e laboratori creativi, di giardinaggio e di cucina, mentre tra le attività previste direttamente sul territorio figurano uscite culturali con visite a mostre e castelli oppure momenti di svago ritagliati prevalentemente nei fine settimana – specifica Riccardo Giovanetto, educatore del nucleo minori -. Se poi quest’anno i nostri ragazzi hanno potuto partecipare e raggiungere il podio del video contest sul disagio giovanile “VdAScatti” nonché partecipare a un tirocinio formativo all’interno della fromagerie di Brusson, prevediamo presto di avviare un nuovo stage nell’ambito del progetto “Goal” di sviluppo concreto di una professionalità”.

Disagio giovanile in Valle d’Aosta: alcuni numeri

Dall’ansia alla depressione, dai gesti di autolesionismo ai comportamenti antisociali, dai disturbi alimentari alle dipendenze da videogiochi e sostanze stupefacenti, a oggi tra i giovani valdostani si respira un disagio tanto crescente quanto preoccupante. A testimoniarlo è anzitutto l’aumento delle richieste di aiuto pervenute ai servizi di psicologia e singoli psicologi di tutta la regione, un dato in costante incremento sin dal periodo della pandemia e del conseguente lockdown, scintilla di più o meno gravi problematiche per molti ragazzi costretti all’isolamento forzato.

disagio giovanile numeri
Le problematiche del disagio giovanile

L’evoluzione del disagio

In attesa dei numeri definitivi del 2022, gli ultimi dati sul disagio giovanile in Valle d’Aosta sono stati forniti in Consiglio regionale dall’assessore alla Sanità Roberto Barmasse. Nel 2021 sono cresciute del 50% le domande di sostegno ai professionisti. Salgono inoltre anche i contatti con il Pangolo – il consultorio della struttura dipartimentale di Psicologia dell’azienda Usl dedicato ai giovani tra i 13 anni e i 21 anni – il quale, dopo aver registrato per mesi una evoluzione costante, ha raggiunto nel solo anno passato ben 71 nuovi accessi, di cui 18 rimandi ai servizi di neuropsichiatria infantile o psichiatria. Si sono aggravate anche le situazioni emotive e personali dei giovani nella fascia tra i 18 anni e i 25 anni, i cui riferimenti allo specifico sportello loro dedicato sono giunte in pochi mesi alle 7 unità.

disagio giovanile numeri
I numeri del disagio giovanile

Desta non poche preoccupazioni tra genitori e docenti anche la crescita esponenziale di ragazze e ragazzi affetti da disturbi alimentari, tra cui anoressia, bulimia e obesità rappresentano i più rilevanti. Allineandosi al dato nazionale, la Valle d’Aosta mostra un abbassamento dell’età della fase di insorgenza di patologie che si manifestano in minori di età inferiore ai 15 anni.

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