“Adriano Olivetti è stato l'unico imprenditore del '900 che è riuscito a coniugare pensiero e azione": ne è convinto Beniamino de’ Liguori Carino, nipote di Adriano, e figlio dell'amatissima Lalla. Da anni Beniamino guida, in qualità di Segretario Generale, la Fondazione che porta il nome di suo nonno, allo scopo di far conoscere sì la figura di Adriano Olivetti, per anni sostanzialmente dimenticata, ma soprattutto di tradurre in pratica il pensiero più geniale e rivoluzionario che rappresentò la vera mission del suo operato: quello dell' "impresa responsabile".
Pensieri e riflessioni su suo nonno, grande imprenditore illuminato, saranno al centro dell’incontro in programma domenica prossima. il 19 agosto a Cogne alla Maison Dayné alle 17.45. Una vera e propria lezione olivettiana, occasione per approfondire con un testimone diretto, come Beniamino de’ Luguori Carino il pensiero olivettiano di suo nonno e l’impegno oramai concretizzato a passare dal sogno di Olivetti ad Ivrea Patrimonio Unesco.
"D'altronde – spiega Beniamino de’ Liguori Carino – oggi il valore sociale dell'impresa è un concetto che si sta facendo strada, che sta diventando un esempio da seguire per molte realtà imprenditoriali anche importanti, soprattutto nel centro Italia". L'impresa responsabile, come la immaginava Adriano Olivetti, è una realtà economica e produttiva che deve tenere conto del lavoratore come figura indispensabile per il successo imprenditoriale di un'azienda e, quindi, deve anche pensare al suo benessere, alla sua istruzione, al suo stare nella società. Un lavoratore deve essere istruito, aiutato, inserito. E per questo va sostenuto dall'azienda con delle vere e proprie forme di welfare. Quella olivettiana era una fabbrica aperta, dove entrava la cultura e la bellezza. Che metteva insieme visione architettonica, progetto sociale, senza dimenticare il suo vero scopo, quello di inseguire il profitto. Una visione che negli anni è stata osteggiata da destra e da sinistra. Chi lo accusava di paternalismo, chi di bieco cinismo, ma "la storia fortunatamente si è incaricata di smentire gli uni e gli altri".
"Al di là del fatto che parliamo di mio nonno – prosegue Beniamino de’ Liguori Carino – io porto avanti le sue istanze perché sono convinto che stiamo parlando di un vero genio, di un uomo che ha cercato di rivoluzionare l'assetto novecentesco della società capitalistica e del rapporto tra padrone, impresa e lavoratore. Parliamo di un'azienda italiana che è riuscita, prima nel mondo, in anticipo anche sulla IBM, a portare sul mercato i primi calcolatori elettronici. Di una realtà sana e competitiva, di fatto della prima impresa locale ma a vocazione globale che ha avuto l'Italia".
Un modello che ancora oggi è attuale. Come attuale é il pensiero di Adriano, la sua idea di una rappresentanza allargata, di una fondazione che condivida la proprietà aziendale con la politica, i sindacati, l'azionariato tradizionale e l'istituzione universitaria.
"Ricercare l’attualità dell’esperienza olivettiana è la missione essenziale della Fondazione", conclude Beniamino de’ Liguori Carino, ben consapevole che “la storia di Olivetti non è un foglietto di cartacarbone che si adatta su qualsiasi cosa. Non è sufficiente passarci sopra la matita perché si ricrei quella stessa situazione, quel tipo di immagine. Anche se la Fondazione promuove studi specifici di quell’esperienza, ad esempio analizzando temi ancora oggi attuali quali l’organizzazione comunitaria del potere locale, il rapporto tra Enti locali e Stato centrale, è fondamentale partire dalla comprensione che il pensiero di Olivetti è un valore universale sempre valido, indipendentemente dal momento storico”.