Per l’autosufficienza energetica della Valle serve “un impiego combinato di tutte le fonti rinnovabili”

A spiegarlo un documento redatto da Valle Virtuosa, Legambiente VdA, Attac Vda ed il comitato “Giù le mani dalle acque e da Cva” per rendere la regione "Fossil fuel free" entro il 2040. Centrale - si legge - il ruolo di Cva e ripensare il sistema dei trasporti.
Ambiente

La Valle d’Aosta può arrivare a diventare una regione Fossil fuel free – ovvero abbandonando l’utilizzo di combustibili fossili – entro il 2040? Le associazioni Valle Virtuosa, Legambiente VdA, Attac Vda ed il comitato “Giù le mani dalle acque e da Cva” pensano di sì.

E non lo pensano solo. Le associazioni ecologiste, infatti, hanno redatto un documento che – spiegano – “mette in luce un’opportunità straordinaria per la nostra regione: la possibilità di raggiungere l’autosufficienza energetica utilizzando esclusivamente fonti di energia rinnovabile”.

Un utilizzo combinato di tutte le rinnovabili

La premessa è che la Valle d’Aosta deve “adottare una strategia energetica che, oltre a consentire l’autosufficienza e la decarbonizzazione, permetta di mantenere risorse idriche adeguate a garantire il soddisfacimento delle necessità del territorio”. Questione non facile, dato che – per le associazioni ecologiste – “i corpi idrici sono tutti già sfruttati al massimo allo scopo della produzione idroelettrica (sia i fiumi/torrenti principali, sia le piccole derivazioni)” e “non è possibile espandere oltre questo settore”.

La strada, quindi, è un’altra: “Si deve perciò passare da una produzione di energia basata quasi esclusivamente sull’utilizzo di impianti idroelettrici all’impiego combinato di tutte le fonti rinnovabili presenti sul territorio valdostano – si legge ancora nel documento –, utilizzando i bacini esistenti come riserve idriche atte a garantire, oltre alla stabilità nella fornitura di energia elettrica, anche la distribuzione di acqua potabile, essenziale per la salute umana, il mantenimento della biodiversità e le attività produttive agricole e industriali nei periodi di siccità”.

Questo perché, dicono le associazioni, la Valle “è un territorio ricco di fonti di energia rinnovabili” a partire dall’acqua che “oltre ad essere una risorsa fondamentale per la vita e anche utilissima per produrre energia elettrica, pulita e programmabile”, passando per il sole “per produrre energia termica (con pannelli termici) ed energia elettrica (con pannelli fotovoltaici)”, il vento “per produrre energia elettrica (con mini-turbine eoliche)”, ma anche la geotermia “per estrarre calore dal sottosuolo (con pompe di calore)” e le biomasse “provenienti da scarti agricoli o da manutenzione boschiva, per produrre energia termica”.

Il ruolo di Cva

La sede Cva di Châtillon

Per questo, diventa chiave il ruolo della Compagnia valdostana delle acque che – spiegano ancora le associazioni ecologiste – deve essere “uno strumento operativo della Regione, quindi, per la sua politica energetica, e non una mera società per fare utili e incrementare le risorse finanziarie regionali”.

In chiaro – si legge sempre nel documento – “occorre ritornare alla finalità originaria di Cva”, che deve operare “sulla base di indirizzi precisi, stabili dalla Regione”.

Quali siano è presto detto (ed elencato). Per cominciare, “sviluppare altre energie rinnovabili oltre all’idroelettrico investendo nel solare fotovoltaico, nel solare termico, nel micro-eolico, nel geotermico a bassa entalpia, nelle biomasse per diversificare le fonti energetiche e aumentare la resilienza energetica della regione”.

A questo si aggiunge la necessità di “accrescere progressivamente l’uso locale dell’energia prodotta dalle centrali idroelettriche valdostane e ridurre l’esportazione fuori valle”, ma anche “applicare tariffe energetiche vantaggiose per i consumatori valdostani, famiglie e imprese, incentivandoli in tal modo ad abbandonare i combustibili fossili” e “migliorare e modernizzare la rete di distribuzione locale dell’energia, minimizzare le perdite durante il trasporto, stabilizzare la disponibilità di energia con sistemi di accumulo”.

Non solo, perché nell’elenco di azioni figurano anche la necessità di “promuovere e supportare programmi per l’efficienza energetica negli edifici pubblici, nelle aziende e nelle abitazioni private”, così come “svolgere un ruolo attivo nello sviluppo dei gruppi di autoconsumo e delle comunità di energia rinnovabile” e “partecipare attivamente alla pianificazione energetica regionale” nella quale “Cva deve avere un ruolo proattivo nel dialogo con le autorità regionali per lo sviluppo di una strategia energetica complessiva che miri alla decarbonizzazione e all’autonomia energetica, contribuendo con la propria conoscenza tecnica del settore”.

In ultimo, il documento chiede di “incrementare i posti di lavoro qualificati e valorizzare le competenze professionali locali attraverso la stimolazione delle filiere di produzione e installazione di impianti per l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili presenti in Valle”.

La questione delle concessioni idroelettriche

Immagine di archivio – La centrale Cva di Quart.

Un “problema da affrontare con urgenza e chiarezza” individuato sta nel fatto che – si legge – “gran parte delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua ad uso idroelettrico di cui fruisce attualmente Cva scadranno a breve”.

Cosa fare, al riguardo? “Anzitutto è fondamentale che la Regione, attraverso una Norma di attuazione dello Statuto Speciale, acquisisca la competenza di legiferare in materia di ‘procedure e modalità di assegnazione delle concessioni’ – dicono ancora le associazioni –. È una potestà che è già stata affidata sia a Regioni a statuto ordinario (sulla base di griglie ben definite), sia a Regioni a Statuto speciale come il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia, ma non alla Valle d’Aosta, posto che non esiste una disposizione dello Statuto valdostano che attribuisca detta competenza legislativa esclusiva alla Valle d’Aosta e la materia è riservata dalla Costituzione allo Stato”.

Come? “Serve quindi una Norma di attuazione che corregga lo Statuto, una norma contra statutum, come del resto è già accaduto con le norme riguardo al demanio idrico”, si legge ancora.

Così, “raggiunto questo primo obiettivo di competenza legislativa, che è di forte valenza autonomistica, occorre poi che la Regione intervenga per approvare una legge regionale che tenga nel debito conto la normativa europea e statale”. Legge che “dovrebbe offrire diverse opzioni e modalità per il rilascio delle concessioni, incluso il potere di trasferire le concessioni a una società a totale controllo pubblico, che opererebbe esclusivamente per soddisfare le necessità energetiche del territorio regionale”.

“Si dovrebbe creare una società pubblica, intesa come bene comune a servizio della collettività, che operi a livello regionale senza entrare in concorrenza con le altre società energetiche presenti sul mercato nazionale o europeo – è spiegato ancora nel documento –. Questa società pubblica dovrebbe anche mostrare attenzione per il territorio, sia nel ridefinire la quantità di acqua che può essere prelevata dai corpi idrici per usi idroelettrici, considerando il Deflusso Ecologico, sia nel valutare e compensare i danni arrecati al territorio dalla costruzione degli impianti”.

Danni che includono “limitazioni nell’uso delle acque per necessità umane, economiche e ambientali e impatti negativi sul paesaggio, aspetti di rilievo in una regione che punta al turismo”.

Con una chiusa: “La domanda immediata che deriva da questo scenario è evidente: ma allora gli impianti che Cva attualmente gestisce fuori Valle che fine farebbero? Tali impianti dovranno essere conferiti ad un’altra società ben distinta, totalmente pubblica o anche mista, che opererà sul mercato globale con logiche di mercato”.

Ripensare i trasporti

Stazione Autobus Aosta

Al netto delle questioni legate a Cva, il documento affronta anche altre questioni. In primis quella dei trasporti. Questo, oltre a “risparmiare energia riducendo al minimo le dispersioni in atmosfera che, oltre a ad accrescere i costi di fornitura, aumentano l’inquinamento atmosferico” eliminando “usi impropri, sprechi e inefficienze” per ogni fonte di energia.

“Non è ragionevole pensare di continuare con lo schema del trasporto che ha caratterizzato la motorizzazione degli anni ’60 e ’70 semplicemente sostituendo i veicoli a combustione interna con lo stesso numero di veicoli elettrici – si spiega ancora nel documento –. È bene puntare ad una diminuzione del numero dei veicoli, anche se elettrici, a favore di un grande sviluppo del

trasporto pubblico e di sistemi di condivisione delle auto come il carsharing pPratica che permette agli utenti di noleggiare automobili appartenenti a compagnie commerciali per brevi periodi di tempo, facilitando l’accesso temporaneo a veicoli per vari conducenti) e il carpooling (sistema in cui proprietari di auto private condividono il loro veicolo con altri passeggeri per viaggi comuni, riducendo così il numero di veicoli in circolazione e dividendo i costi di trasporto)”.

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