Un patteggiamento ed una condanna, per un totale di oltre quattro anni di carcere, in due processi, celebrati entrambi nella mattinata di oggi, martedì 16 aprile. Ad “incassare” i pronunciamenti in sequenza del giudice monocratico del Tribunale di Aosta, Marco Tornatore, è stata una 33enne nigeriana, Pecula Enabulele, presente in aula e difesa dall’avvocato Tony Latini.
Nel primo procedimento – chiusosi con la scelta di patteggiare 2 anni e 4 mesi di reclusione (oltre ad una multa da 670 euro) – la donna era accusata di estorsione, tentata estorsione, maltrattamenti familiari e lesioni personali aggravate. Per il pm Luca Ceccanti, una volta trasferitasi nell’abitazione di un aostano con cui aveva intrapreso una relazione, Enabulele avrebbe iniziato a minacciarlo (di persona e con messaggi sul telefono) di rivelare, anche mostrando dei video, dettagli intimi tali da screditarlo agli occhi di amici, colleghi e conoscenti.
Lo avrebbe così costretto ad acquistarle un iPhone da quasi mille euro. Nel periodo di convivenza, la 33enne si sarebbe anche spinta ad insultare e minacciare la madre ultrasettantenne dell’allora compagno (anch’ella residente nell’alloggio). In diversi episodi alla fine del 2016 l’avrebbe pure spinta violentemente (procurandole lesioni ad una spalla), costretta a rimanere chiusa in una camera per evitare aggressioni fisiche e colpita con violenza, facendola finire contro una sedia. Lesioni, per gli inquirenti, sarebbero state cagionate anche al convivente, costituitosi parte civile nel procedimento con l’avvocato Davide Meloni.
Nel secondo processo, con l’accusa sostenuta dal pm Carlo Introvigne, l’imputazione era di calunnia, legata ad una querela sporta dalla donna, contenente tesi non veritiere, nei confronti della proprietaria di un alloggio in cui ha abitato per un periodo. I fatti costituiscono una “costola” dell’altra vicenda, giacché Enabulele – a quanto emerso in aula – si era sposata nella nuova abitazione dopo il periodo “movimentato” in casa dell’aostano.
Per i primi mesi era ancora riuscita a farsi pagare l’affitto da lui (tramite un assegno da 1.700 euro), che però aveva ad un certo punto “chiuso i rubinetti”. Smesso di ricevere regolarmente il canone di locazione, la padrona di casa aveva quindi intimato lo sfratto all’inquilina, che avrebbe reagito presentando la denuncia “farlocca”. Per questi fatti, il giudice Tornatore ha ritenuto Enabulele colpevole, condannandola a due anni di reclusione.