“Affaire Bccv-Perron”: nella sentenza, l’abbraccio avvolgente della politica alla banca

Tutti i passaggi significativi delle motivazioni della condanna del Gup Paladino all’ex Assessore regionale alle finanze ed ai vertici della Banca di Credito Cooperativo Valdostana.
Ego Perron con i suoi avvocati all'arrivo in Tribunale
Cronaca

Tra l’estate 2014 e la primavera 2015, quante e quali guerre combatte Ego Perron, allora Assessore regionale alle finanze? La risposta – a leggere le motivazioni, depositate lo scorso 7 febbraio, della sentenza con cui il Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Aosta, Davide Paladino, lo ha condannato il 10 novembre 2017 a tre anni di reclusione per induzione indebita a dare o promettere utilità – è: soprattutto una.

E’ rappresentata, nella ricostruzione di quel periodo che emerge dalle indagini del pm Luca Ceccanti, dalla volontà di chiudere rapidamente l’operazione di spostamento della filiale di Fénis della Banca di Credito Cooperativo Valdostana dalla sede posseduta dall’istituto, nei locali di cui è proprietario (assieme alla madre), nello stesso comune. Un “affare” che culmina il 23 febbraio 2015 nella stipula, tra l’assessore e l’istituto di credito, di un contratto di locazione da 27mila 600 euro annui, in rate mensili da 2.300 euro (ma le prime sei sarebbero state scontate a 1.150, a fronte dell’impegno del locatario di eseguire i lavori di adeguamento degli spazi, già adibiti a bar ristorante).

Tuttavia, secondo il Gup, per ottenere il risultato cui ambiva, Perron non esita ad abusare del pubblico ufficio di cui è titolare, effettuando “ripetute pressioni” su Marco Linty e Martino Cossard, rispettivamente presidente e componente del Consiglio d’Amministrazione della banca, entrambi imputati assieme a lui nel processo, per lo stesso reato contestato al cinquantenne di Fénis, e condannati ad un anno (pena sospesa). In cambio della sottoscrizione del contratto, l’assessore avrebbe offerto ai due amministratori della Bccv il sostegno – “in occasione delle elezioni per il rinnovo del CdA”, fissate per il 19 aprile 2015 – “della loro candidatura ai vertici della banca”.

I locali, tuttavia, erano soggetti a vincolo di destinazione d’uso ad attività di ristorazione fino al 2019 e l’avviato trasferimento sfuma, ma per il giudice Paladino il reato contestato (recentemente riformato nella sua formulazione, non limitandolo ai pubblici ufficiali) è commesso. Condanna quindi tutti gli imputati, accogliendo la richiesta del pm (3 anni) per Perron e disponendo una pena leggermente più bassa di quella invocata (1 anno e 4 mesi) per Linty e Cossard.   

Il contesto

Nelle cinquantacinque pagine del provvedimento, la vicenda viene collocata in un contesto di “forte legame di compenetrazione di tipo clientelare fra il mondo politico locale e la banca, a struttura cooperativistica, di maggior diffusione regionale”. In tale quadro, le elezioni per il rinnovo degli organi societari della Bccv “erano l’occasione per uno scontro per la conquista del controllo della banca stessa tra opposte fazioni in seno al partito politico dell’Union Valdôtaine, che deteneva il potere all’interno degli organi politici regionali”.

Gli interessi opposti erano, tra gli altri, quelli degli “stessi Linty e Cossard” e del consigliere (nel CdA della Bccv, ndr) Dino Viérin, “all’epoca esponente della minoranza” politica (con l'Union Valdôtaine Progressiste nata nel dicembre 2012 ed al tempo molto distante dall'essere in maggioranza con l'UV, come oggi), che “sfidava la leadership rollandiniana” allora al potere “e di cui Perron era esponente di spicco”. Uno scenario nel quale il Presidente uscente della banca Linty (ma il giudice estende la valutazione anche al consigliere Cossard) “non era affatto certo di ottenere la riconferma e cercava di ottenere nuovamente un appoggio politico” per permanere “nei posti di potere della banca”.

“Tale interesse personale – si legge nelle motivazioni – incrocia, dal punto di vista logico e temporale, quello di natura economica dell’assessore regionale di trovare un buon cliente per il proprio immobile ad uso commerciale, alla cui conduzione si erano nel tempo avvicendati imprenditori di scarso successo”. Per il Gup Paladino, nel gestire l’intera operazione, la condotta dei vertici della banca è “ingiustificatamente frettolosa, e per ciò stesso sospetta, tanto da trascurare, intenzionalmente in alcuni casi, di esaminare in maniera approfondita importanti aspetti legati alla decisione” di trasferire la filiale di Fénis.

I dubbi di Dino Viérin

In sostanza, puntualizza l’estensore della sentenza, “pare significativo” che proprio Dino Viérin, “l’unico ad avanzare perplessità” sull’operazione (ne chiese la verifica della convenienza nella seduta del CdA del 14 gennaio 2015), “sia stato l’unico dei consiglieri a perdere il posto nelle elezioni per il rinnovo” degli organi sociali. Lui stesso, sentito dal pm Ceccanti nel corso delle indagini, affermò amaramente di ricordare “bene la vicenda”, anche perché “ritengo che abbia contribuito al mancato rinnovo della mia carica di membro del CdA di Bccv”.

Peraltro, sempre di fronte al pubblico ministero, l’ex consigliere della banca evocò che “circa dieci minuti dopo il termine” della riunione in cui manifestò i suoi dubbi ricevette “una telefonata da parte dell’assessore Ego Perron”, che “in quell’occasione era piuttosto adirato e mi chiese per quale motivo ce l’avessi con lui e perché mi fossi opposto al trasferimento”. Una circostanza che, per il Gup Paladino, “conferma come l’assessore seguisse da vicino i passaggi interni alla banca volti alla stipula del contratto d’affitto” e che fosse informato “dell’andamento delle riunioni del CdA, evidentemente dai consiglieri stessi della banca, se non proprio” dagli altri due imputati.

Lo scontro fra le due UV

Della lotta per i vertici dell’istituto di credito riferisce al pm anche un “politico di vecchia data”, legato “da rapporti di amicizia con Perron”. Si tratta di Bruno Milanesio, che nel marzo 2017 dice al sostituto Ceccanti “della spaccatura in seno all’Union Valdôtaine, gruppo politico a cui appartenevano sia Perron che Viérin, in ordine al sostegno dei candidati al Consiglio d’Amministrazione della banca”.

“Era risaputo – afferma al pm, venendo ripreso dal Gup nelle motivazioni – che per le elezioni del CdA della Bccv si contrapponevano il gruppo Viérin e il gruppo dell’UV ‘rollandiniana’. Linty era sostenuto dalla parte di Rollandin e sicuramente Perron aveva interesse politico a che prevalesse Linty e tutti quelli legati alla sua parte”. Il pm Ceccanti gli chiede quindi del tenore di una telefonata dell’aprile 2015, ricevuta da Perron, rientrante tra le intercettazioni non utilizzate nel processo, perché facenti parte di un altro procedimento della DDA di Torino ed escluse a seguito di eccezione delle difese degli imputati.

In tale conversazione – si legge nelle motivazioni – i due “commentavano l’esito delle elezioni del CdA della banca, favorevole a Perron, e quest’ultimo, con cui Milanesio si complimentava per avere ottenuto la riconferma di gran parte del CdA uscente (con eslcusione di Viérin), rivendicava l’elezione del CdA come una propria vittoria personale, vantando il proprio attivo e proficuo coinvolgimento nella rielezione dei membri del vecchio CdA, fra cui Linty e Cossard”. Richiesto di spiegare il senso dell’espressione di Perron “che aveva spinto”, Milanesio risponde: “secondo me, Perron aveva fatto ‘campagna elettorale’ per Linty e quel gruppo, in ogni caso per la lista degli uscenti”.

Il ruolo di Perron

La difesa dell’allora assessore regionale, dimessosi dalla carica il giorno della condanna ed oggi sospeso da componente del Consiglio regionale per effetto della “Legge Severino”, assistito dagli avvocati Fabio Fantini e Andrea Bertolino aveva sostenuto a processo che il ruolo attivo di Perron nella “campagna elettorale” della banca “sarebbe stato giustificato da meri interessi politici”.

Il Gup Paladino osserva che la vicenda “porta, invece, fondatamente a ritenere che Perron abbia appoggiato i due imputati in primo luogo per fini personali, oltre che per interesse politico”. “Il rapporto con il duo Linty-Cossard è, – continua il magistrato – come dimostrano le intercettazioni (il riferimento è a quelle disposte ed effettuate dalla Procura di Aosta e finite nel fascicolo processuale, ndr), per nulla formale ed istituzionale. I tre appaiono, infatti, avvinti da forti legami politici-clientelari e da una certa consuetudine di rapporti”.

Le conversazioni registrate, che occupano un intero capitolo delle motivazioni della sentenza, “restituiscono la prova di una forte subalternità dei due esponenti della banca rispetto all’assessore regionale, posizione di soggezione che porta gli stessi a subire passivamente le sfuriate, e talvolta anche gli insulti dell’esuberante politico, che li considera colpevoli di non avere adeguatamente sostenuto in CdA i propri interessi economici personali, e ciò anche contro l’evidenza dell’impossibilità, per l’esistenza di vincolo urbanistico, del trasferimento della Banca nei locali di sua proprietà”.

Al riguardo, il Gup riprende l’episodio della “sgridata” di Perron a Linty in occasione della festa dei Carabinieri, il 5 giugno 2015 ad Aosta (cui, viene annotato, assistettero anche alcuni ufficiali dell’Arma), ritenendolo utile a sintetizzare “in modo plastico, quasi grottesco, il rapporto di subalternità del Presidente della banca nei confronti dell’esponente politico”.

“Di fronte a tali assalti, anche ingiuriosi, – si legge al riguardo – Linty e Cossard non hanno mai reagito per tutelare, come avrebbero dovuto, gli interessi della banca di cui erano portatori, oltre che l’indipendenza dell’istituto dal potere politico ed il prestigio del ruolo degli stessi rivestito nella banca, ma hanno cercato in tutti i modi, fino all’ultimo, di rabbonire e calmare il politico e di trovare soluzioni compromissorie a quest’ultimo gradite”.

Le parole dell’ex direttore Barnabé

Durante le indagini, il pm Ceccanti convoca – tra gli altri – l’ex direttore della Bccv, Maurizio Barnabé, dimessosi lo scorso 15 gennaio, per assumere un nuovo incarico in altro istituto. Il dirigente rivela che, dopo la stipula del contratto, allorché vennero alla luce le prime difficoltà legate alla sua esecuzione, per l’opposizione di un gruppo di soci di Fénis, “ricevette dall’Assessore proposte di eventuali avanzamenti in carriera che lo lasciarono ‘perplesso’”.

“Devo dire che all’inizio di marzo, in un week-end, – dichiarò l’allora direttore al pubblico ministero, con le sue parole riprese nelle motivazioni – ricevetti un messaggio, forse su W.A. di Perron, che mi chiedeva di mandargli il mio c.v.. Io gli rispondevo: ‘cosa te ne fai?’ e lui mi diceva ‘mi porto avanti…’. Io rimasi perplesso, perché pensavo potesse essere interpretato nel senso del ‘promoveatur ut amoveatur’. Quindi riferii a Linty la cosa e mi accorsi che la notizia lo lasciava indifferente, almeno in apparenza, cosa che non fece che aumentare la mia preoccupazione. Io non mandai mai il mio c.v. a Perron”.

In un successivo incontro, l’assessore “mi risollecitò. Io gli chiesi cosa avesse in testa e lui mi disse che poteva esserci un’opportunità come capo del personale del Casinò. Io lo ritenni fin offensivo. Perché tale incarico non era in linea con la mia esperienza ed in termini di gerarchia era un passo indietro”. Barnabé risponde quindi ad una domanda del pm spiegando che “pur non essendo direttamente coivolto nelle elezioni prossime della Bcc avrei comunque risentito del loro esito. Infatti fosse diventato presidente Cossard, piuttosto che Viérin, avrei potuto ‘trovare più lungo’ o addirittura essere rimosso. Viérin si era astenuto sulla mia assunzione”.

In conclusione, “per comprendere meglio la situazione, avendo anche contattato il cacciatore di teste che mi aveva portato alla direzione della banca, sondai con Perron se ci fossero profili più vicini al mio percorso, e più rispettosi alla mia posizione di partenza. Perché se uno cambia, lo fa per migliorare”. Fatti per i quali, precisa il Gup, “non vi è imputazione”, ma che “hanno comunque un certo rilievo al fine di valutare la condotta del Perron”.

Essi “svelano l’enorme potere accumulato dall’assessore all’interno della compagine politica regionale, tale da permettergli di disporre a suo piacimento delle nomine nelle varie partecipate regionali, e le avvolgenti manovre dallo stesso poste in atto nei riguardi dei vertici della banca, non solo i membri del CdA ma anche il direttore generale, per raggiungere i propri scopi, servendosi in maniera spregiudicata delle prerogative legate alla propria funzione”.

L’antieconomicità dell’operazione

Nelle motivazioni della sentenza, il Gup Paladino si occupa anche della relazione di “Bâtiments valdôtains Srl” (la società integralmente controllata della Bccv, deputata alla gestione del suo patrimonio immobiliare, presieduta da Martino Cossard), “ultimo passaggio formale prima della definitiva approvazione del trasferimento” della sede della banca.

Il documento, scrive il giudice, “oltre a trascurare l’eventuale presenza di vincoli urbanistici, non poneva nella dovuta evidenza” che “i costi di locazione della vecchia sede erano in realtà fittizi, dal momento che il canone locatizio veniva corrisposto dalla banca in favore della controllata, trattandosi pertanto di una mera partita di giro, mentre l’affitto dal Perron avrebbe comportato il sostenimento di una spesa” del tutto “effettiva”.

Inoltre, nella relazione, “non veniva dato rilievo al fatto che, mentre la ristrutturazione della vecchia sede sarebbe andata a vantaggio della banca stessa, trattandosi della valorizzazione di un proprio immobile, e sarebbe costata 220mila euro, la ristrutturazione dei locali di Perron, a fronte di costi preventivati di maggior importo, pari a 290mila euro, avrebbe recato vantaggio esclusivamente a quest’ultimo”.

Esaminando quindi il contratto stipulato, lo sconto solo della “metà dei canoni dei primi sei mesi di locazione, per complessivi 6.900 euro”, rende “di palmare evidenza l’assenza di una adeguata compensazione, sul piano economico, dei costi affrontati dalla banca per rendere i locali idonei ad accogliere la propria filiale”.

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