L’ex procuratore capo Pasquale Longarini assolto in appello a Milano

05 Novembre 2020

La toga di Pasquale Longarini, l’ex procuratore capo facente funzioni di Aosta, oggi giudice civile ad Imperia (in Liguria), resta intonsa anche dopo il secondo grado di giudizio. La seconda sezione penale della Corte d’Appello di Milano lo ha assolto oggi, giovedì 5 novembre, “perché il fatto non sussiste” dalle accuse di induzione indebita a dare o promettere utilità, favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio.

Assolti anche i due co-imputati, l’imprenditore alimentare Gerardo Cuomo e il contitolare dell’Hotel Royal e Golf di Courmayeur Sergio Barathier, che erano chiamati a rispondere solo dell’induzione indebita, in concorso con il magistrato. Con il verdetto odierno, i giudici hanno così confermato la sentenza di primo grado, pronunciata dal Gup Guido Salvini il 9 aprile 2019, contro la quale era giunto il ricorso della Procura meneghina.

All’udienza odierna, il pg Fabio Napoleone aveva chiesto la conferma delle condanne invocate dal pubblico ministero nel giudizio precedente. In sostanza, tre anni di anni di carcere per Longarini, due anni per Cuomo e due mesi per Barathier. Alla requisitoria dell’accusa erano quindi seguite le arringhe dei difensori: gli avvocati Claudio Soro e Anna Chiusano per l’ex pm, Alessandro Argento e Maria Rita Bagalà per il titolare del “Caseificio valdostano), Fulvio Simoni e Jacques Fosson per l’albergatore.

Dopo la conclusione dell’udienza attorno alle 15, i giudici Piero Gamacchio, Maurizio Boselli e Maria Rosaria Rinaldi non hanno disposto ulteriori rinvii e si erano ritirati in camera di consiglio per la decisione. Verso le 18.45, la lettura della sentenza in aula. Longarini, tenendo fede allo stile diretto che lo ha contraddistinto sin dall’inizio del procedimento (aveva anche sostenuto l’interrogatorio in aula in primo grado), era presente in aula. 

La vicenda era esplosa in Valle il 30 gennaio 2017, con l’arresto del magistrato, che aveva “decapitato” la Procura oggi retta da Paolo Fortuna. Secondo le indagini degli inquirenti milanesi sulla presunta induzione, mentre indagava su Barathier per reati fiscali, Longarini avrebbe esercitato pressioni su di lui affinché variasse il fornitore alimentare dell’albergo, facendo così ottenere all’“amico” Cuomo una fornitura da 70mila-100mila annui.

Le accuse di favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio erano invece relative all’aver – nella tesi della Procura di Milano (il pm Giovanni Polizzi ha coordinato le investigazioni della Guardia di finanza) “avvisato” Cuomo del fatto che i Carabinieri avevano “attenzionato” i suoi rapporti con il pluripregiudicato Giuseppe Nirta (poi assassinato in Spagna nel giugno 2017). I militari avevano rilevato che i contatti tra i due si fossero interrotti bruscamente, durante le indagini sfociate nell’operazione “Geenna”.

Il Gup Salvini, motivando la sentenza di assoluzione, aveva parlato di un fascicolo d’indagine “molto ampio”, ma per buona parte, “sul piano quantitativo” di “scarso o nullo rilievo” per valutare le “accuse che sono state contestate ai tre imputati”. Secondo il giudice di primo grado, nessuna delle “numerose intercettazioni e accertamenti patrimoniali bancari su Longarini, Cuomo ed altri soggetti” risultava “utile in relazione alla prova delle accuse mosse”. Oggi, con motivazioni che saranno note entro 90 giorni, la conferma di quel verdetto.

Exit mobile version