Nei viaggi verso la Francia per trasportare immigrati presenti irregolarmente in Italia, almeno cinque – dei dieci destinatari delle ordinanze di custodia cautelare in carcere scattate nell’ambito dell’“Operazione Passeur” della Guardia di finanza di Lodi e della DDA di Milano, oggi accusati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di esseri umani – erano “inciampati” nei controlli della Polizia di frontiera e della Stradale della Valle d’Aosta.
Yasser El Sharkawi, 43enne egiziano considerato dagli inquirenti coordinati dai pm Alessandra Dolci e Adriano Scudieri l’organizzatore materiale dei trasporti gestiti dal sodalizio criminale attraverso il tunnel del Monte Bianco, era finito in manette nel week-end tra il 16 e il 18 marzo scorsi. Assieme a lui, in quell’intenso fine settimana per gli agenti in servizio sulla piastra italiana, erano stati fermati, in flagranza di reato, altri due connazionali ritenuti parte dell’organizzazione articolata tra Lombardia ed Emilia-Romagna: il 29enne Elsayed Said Mohamed Soliman e il 39enne Mohamed Said Soliman.
Ahmed Elzeki Abdalla, 48 anni noto come “Ziki”, anch’egli proveniente dall’Egitto e svegliato all’alba di ieri dai finanzieri per essere portato in carcere, era invece stato “pizzicato” ben due volte al traforo, nel giro di un mese, il 23 novembre e il 23 dicembre 2017. Era alla guida di vetture su cui trasportava, rispettivamente, nove e otto passeggeri privi di documenti. Episodi che gli erano costati altrettante condanne al Tribunale di Aosta, per un totale di due anni di carcere e 50mila euro di multa.
Infine, il pakistano Raja Faizan Hafeez, trent’anni, era stato bloccato al tunnel con due connazionali a bordo il 6 novembre 2017, su un mezzo risultato già usato “per commettere reati della stessa specie”. Lui, nei giorni prima, era già stato “denunciato per aver tentato di entrare in Italia con documenti falsi”. Il giudice Giuseppe Colazingari, all’udienza seguita al fermo, gli aveva inflitto tre anni di carcere e 50mila euro di multa.
“Incidenti” di percorso, alcuni successivi ai 49 viaggi ricostruiti dalle Fiamme gialle lombarde nell’inchiesta, in occasione dei quali i poliziotti aostani avevano sentito anche i trasportati. Proprio dalle dichiarazioni di alcuni di loro, inviate dalla Procura del capoluogo regionale a quella di Milano, era emerso il “modus operandi” dell’organizzazione, fatto di appuntamenti in diverse stazioni ferroviarie (Milano centrale, Codogno, Cremona) e del pagamento di una cifra tra i 150 e i 300 euro per raggiungere la Francia (in genere, Parigi o Lione).
“Il metodo – spiega l’ordinanza di custodia cautelare del Gip Livio Cristofano – si avvaleva di accorgimenti” quali “l’approntamento di un reticolo di autisti ed accompagnatori che facevano da ‘staffetta’ tra diverse macchine, al fine di ottimizzare il viaggio e di dare meno nell’occhio durante il percorso”. In particolare, “le autovetture che trasportavano clandestini viaggiavano a notte fonda e venivano precedute da altre, condotte dai componenti della struttura criminosa, che attraversavano il confine con lo Stato straniero”.
L’obiettivo era di “avvertire in anticipo l’auto trasportante i clandestini della eventuale presenza di forze di Polizia che potevano sottoporre a controllo il mezzo”. Attraverso il monitoraggio dei telefoni di autisti e “staffette”, i finanzieri avevano anche rilevato casi in cui la carovana aveva fatto “dietro-front”. Sono quelli in cui le celle telefoniche agganciate si fermano ad una località precedente al traforo e ricompaiono a ritroso fino al rientro a Milano e dintorni. Gli autisti avevano ordine di procedere “al pagamento anticipato da parte dei clandestini, di farsi consegnare eventuali documenti di identità e di non farli scendere prima” che avessero versato il dovuto.
Ha un trascorso con le forze dell’ordine valdostane anche colui che ha innescato le indagini prima della Procura di Lodi, poi della DDA Milanese. Il 30 agosto 2017, in un controllo in strada a Castiglione D’Adda, la Guardia di finanza di Casalpusterlengo lo aveva arrestato, trovandolo in possesso di “farmaci ‘Lasilix’ di provenienza francese, destinati alla successiva rivendita”. Parliamo di Nabil Meghaed El Sharkawi, 40 anni, egiziano. Poco più di un mese prima, il 19 luglio, la Polizia di frontiera al tunnel del Gran San Bernardo gli aveva messo le manette ai polsi, perché si era presentato al casello verso la Svizzera con a bordo nove siriani, quattro minorenni, nessuno dei quali con dei documenti.
Perquisendo casa sua nell’arresto agostano, i finanzieri gli avevano sequestrato “varia documentazione, come carte d’identità, passaporti, buste paga e titoli di viaggio”. L’origine del medicinale e il materiale avevano insospettito gli inquirenti, sviluppando le indagini che “prefiguravano la sussistenza di un’associazione strutturata, impegnata nella frenetica attività di trasporto di immigrati clandestini o irregolari”, provenienti in particolare dal Nord Africa e dall’Asia centrale, diretti “verso altri Paesi” dell’Unione europea, “soprattutto in direzione della Francia”. Attraverso le strade della Valle d’Aosta, nel cuore della notte.