Assoluzioni sul Casinò? Per il pm “erronea interpretazione” dei fatti

Nelle novantotto pagine dell’atto con cui impugna la sentenza di primo grado per politici e manager sui finanziamenti al Casinò, il pm Menichetti sottolinea, tra l’altro, un presunto “grossolano errore” del Gup De Paola.
Udienza casinò
Cronaca

“L’assoluzione degli imputati da tutti i reati loro ascritti” è il frutto “di una erronea interpretazione da parte del giudice di primo grado dei fatti emersi durante la discussione del giudizio, a fronte di una mancata comprensione dell’imputazione a monte”, nonché “di una non corretta applicazione delle norme penalistiche e civilistiche di riferimento”. Lo si legge nelle premesse delle novantotto pagine dell’atto con cui il pubblico ministero Eugenia Menichetti ha impugnato la sentenza del procedimento, chiusosi l’8 novembre scorso, sui 140 milioni di finanziamenti della Regione al Casinò.

Alla sbarra erano in sette, tra politici di piazza Deffeyes (gli ex assessori alle finanze, con delega alla casa da gioco, del periodo 2012-2015, coperto dalle indagini della Procura: Augusto Rollandin, Ego Perron e Mauro Baccega) e rappresentanti della “governance” della Casa da gioco (il già amministratore unico Lorenzo Sommo e gli allora componenti del collegio sindacale Jean-Paul Zanini, Fabrizio Brunello e Laura Filetti). Tutti erano stati assolti dal Gup Paolo De Paola “perché il fatto non sussiste”.

Le accuse, mosse a vario titolo, riguardavano il falso in bilancio (relativamente al “mascheramento” delle reali perdite d’esercizio dell’azienda di Saint-Vincent, tramite l’iscrizione di imposte anticipate) e la truffa aggravata ai danni dello Stato (per aver proposto, da parte dei pubblici amministratori imputati, sulla base dei “bilanci inquinati”, le erogazioni votate da Giunta e Consiglio). Motivando la sentenza, il Gup aveva escluso il carattere “ingannevole” dei documenti contabili e l’esistenza di un “accordo” tra politici e vertici del Casinò.

Per il pm Menichetti, tuttavia, nel sentenziare “il giudice evita di prendere posizione sui fatti oggetto” degli addebiti, “omettendo di dichiarare la falsità o meno delle voci contestate contenute” nei bilanci della “Casinò de la Vallée” setacciati dagli inquirenti, nonché “tralasciando qualsiasi pronuncia in merito alla sussistenza, o meno”, per la società, “di una reale prospettiva al ritorno all’utile”. Una condizione che peraltro, nel caso della Casa da gioco, annota la Procura, “non si è mai verificata” e “non a causa di eventi straordinari o imprevedibili”.

Nella visione dell’ufficio inquirente diretto da Paolo Fortuna, il Gup si sarebbe limitato “a prendere atto dell’avvenuta indicazione, nelle varie note integrative, degli elementi ‘straordinari’” che “avrebbero giustificato l’inserimento di crediti per imposte anticipate”, senza nemmeno attivare i poteri che gli avrebbero consentito di “disporre eventuali integrazioni probatorie necessarie per fare linearmente luce sulla falsità dei bilanci contestati e sulla loro idoneità ad ingannare”.

In generale, le assoluzioni pronunciate paiono al pubblico ministero “il frutto di una errata interpretazione di norme di legge”, dei “principi contabili nazionali e internazionali universalmente riconosciuti e, in special modo, dei concetti fondamentali posti alla base dei reati di pericolo”. Nell’introdurre i temi d’appello, che riguardano tutti i capi d’accusa e tutti i sette imputati, il rappresentante dell’accusa pone l’accento su “un grossolano errore nel quale è caduto il giudice di prime cure”.

Consisterebbe nell’aver ritenuto – “evidentemente tratto in inganno da una contestazione relativa a più annualità nell’ambito di un singolo capo d’imputazione” – “che la falsità dei bilanci 2012, 2013, 2014 e 2015 fosse attribuita a tutti gli imputati indifferentemente”, nonostante gli atti del procedimento riportassero “precisamente le date di approvazione dei bilanci e le cariche rivestite da ognuno” per l’annualità di riferimento.

Così facendo, “ci si trova dinanzi ad un’assoluzione per non aver commesso il fatto nei confronti” di alcuni imputati “ai quali determinati fatti non erano stati contestati”. Per il pm Menichetti, una contraddizione, ma “non l’unica in cui è caduto il giudicante”. L’altra riguarderebbe invece, le decisioni assunte nei confronti dell’ex amministratore unico Luca Frigerio (rinviato a giudizio l’8 novembre e per il quale il processo è in corso), “in contrasto con la sentenza emessa” per i sette politici e manager, cui il giudice sarebbe arrivato con un ragionamento che si presenta “frammentato ed intriso di atomismo decostruttivo, con salti concettuali talvolta privi di collegamenti logici”.

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