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“Eventi rari ma possibili: in Valle d’Aosta il rischio è sotto controllo”

Il dirigente della struttura Attività geologiche della regione Davide Bertolo spiega il crollo di Blatten: “Evento atteso. Ieri si è dimostrato quanto sia importante monitorare questi fenomeni. In pochi minuti, un evento come quello ripaga anni di monitoraggio".
Cronaca

Le immagini arrivate ieri dalla Svizzera sono impressionati. Gran parte del villaggio di Blatten, nel  cantone svizzero del Vallese, è rimasto sepolto dall’enorme massa di roccia e ghiaccio staccatasi dal ghiacciaio del Birch. Il villaggio era stato evacuato nove giorni fa a causa dell’imminente pericolo di frana: 300 persone avevano dovuto abbandonare le loro case. Una sola persona, un 64enne, risulta ora dispersa. La massa si è staccata in un colpo intorno alle 15.30 causando gravi danni agli edifici e alle infrastrutture.

Abbiamo chiesto al dirigente delle struttura Attività geologiche Davide Bertolo informazioni sull’evento e la possibilità che eventi simili si verifichino anche nella nostra regione.

Quanto accaduto ieri l’ha colta di sorpresa?

No, l’attività era stata rilevata già da circa una decina di giorni. Noi ovviamente, guardiamo anche a ciò che accade oltralpe, in Svizzera. Avevo chiesto informazioni ad alcuni colleghi del Canton Vallese ed era subito emerso che si trattava di un fenomeno importante. Nei giorni scorsi si è visto come continuasse ad evolvere e, quindi, questo collasso di ieri era ampiamente prevedibile. Era stato monitorato fin dall’inizio, portando all’evacuazione delle persone, era chiaro che sarebbe potuto succedere qualcosa: direi che c’erano buone probabilità, un 80-90%, che accadesse un evento di questo tipo.

Dal punto di vista glaciale o geologico come classificherebbe l’evento?

Per le informazioni che abbiamo — e che sto ancora raccogliendo, perché sono casi di scuola — si può classificare come una rock ice avalanche, cioè una valanga di roccia e ghiaccio. Da ciò che si è potuto osservare, anche se ieri le nuvole coprivano il versante, c’è stato un distacco di una massa rocciosa di volume importante, stimato tra i 3 e i 5 milioni di metri cubi, che è caduta sul ghiacciaio. Questo ha asportato parte del materiale glaciale e lo ha mescolato con il detrito roccioso. Il ghiaccio ha permesso alla massa di scivolare più lontano rispetto a quanto avrebbe fatto se fosse stata solo roccia. Si è parlato di “crollo del ghiacciaio”, ma non è un termine corretto: si è trattato di un crollo roccioso sopra un ghiacciaio, che ha reso più mobile la massa.

Il ghiacciaio, quindi, è stato più vittima che causa?

Esatto. Il ghiacciaio è stato un elemento passivo, colpito da una parete rocciosa instabile. È stato sfortunato: la parete è crollata su di esso e, scivolandoci sopra, ha aumentato la portata e la distanza del flusso. Parte del ghiaccio si è anche frantumata e incorporata nel materiale in movimento.

Quanto ha influito il riscaldamento climatico?

Per ora non abbiamo dati definitivi sul sito specifico, ma è stato ipotizzato fin da subito che la fusione del permafrost abbia contribuito alla destabilizzazione della massa rocciosa. Sono valutazioni preliminari, ma plausibili.

Il sistema di monitoraggio ha avuto un ruolo importante?

Sì, è stato fondamentale. Quel versante aveva già mostrato crolli importanti, anche se niente in confronto a quello di ieri. Questo ha permesso alle autorità di innalzare il livello di attenzione. Sono stati installati radar e GPS, è stata evacuata la popolazione in via precauzionale, e si è riusciti a stimare con buona precisione il momento del collasso. Al momento risulta solo un disperso, ma il bilancio poteva essere molto più grave. Il monitoraggio, oggi, è irrinunciabile se vogliamo garantire la sicurezza di chi vive in montagna.

Eppure talvolta si parla di allarmismo…

Investiamo risorse ingenti, sia finanziarie sia umane, nel monitoraggio di questi fenomeni, con l’obiettivo primario di salvaguardare la vita umana e, laddove possibile, prevenire anche il danneggiamento dei beni. Talvolta veniamo quasi derisi o accusati di fare allarmismo, ma quanto accaduto ieri dimostra che, sebbene eventi di questa portata siano rari, è fondamentale considerarli seriamente perché possono effettivamente verificarsi. E se si attiva un sistema di monitoraggio, si può riuscire, almeno in parte, a limitarne gli effetti. Un fenomeno come quello di ieri ripaga, in pochi minuti, anni di investimenti nel monitoraggio e nella protezione del territorio, salvando vite umane e riducendo danni ben più gravi.

In Valle d’Aosta ci sono già esempi di questo tipo di sorveglianza.

Sì, in Val Ferret monitoriamo da circa 25 anni diverse situazioni di instabilità, 24 ore su 24. Ci sono fenomeni con volumi importanti, da un milione fino a otto milioni di metri cubi, come nel caso della frana di La Saxe. Possiamo dire con certezza che la sicurezza delle persone e degli animali è garantita. Per i beni materiali, invece, si fanno valutazioni caso per caso.

Possono verificarsi fenomeni simili a quello di Blatten anche in Valle d’Aosta?

Fenomeni identici no, almeno come dinamica. Abbiamo potenziali crolli glaciali e di versanti rocciosi, che possono dare origine a eventi simili. Ma qui si lavora in ottica preventiva: se si supera una certa soglia di rischio, si attivano piani di protezione civile, come avvenuto a La Saxe nel 2013 e nel 2014. Il caso di Blatten ha anche provocato un lago di sbarramento nel corso d’acqua, fenomeno già visto in Valtellina nel 1987. Sono eventi rari, ma potenzialmente catastrofici. Al momento, in Valle d’Aosta, non abbiamo evidenze che lascino presagire un evento imminente.

Il permafrost è ora al centro dell’attenzione?

Sì. Il permafrost non è un materiale ma una condizione fisica: il terreno rimane congelato tutto l’anno. Quando si degrada, il ghiaccio che tiene insieme il suolo si scioglie, e questo può provocare crolli in zone prima stabili. Come Regione, insieme a Fondazione Montagna Sicura e Arpa, stiamo lavorando su questo tema, anche attraverso il progetto Glysk, per mappare le aree a rischio e definire dei “sorvegliati speciali”.

immagine fornita dalla regione Valle D'Aosta provider Planet Labs
immagine fornita dalla regione Valle D’Aosta provider Planet Labs

Ci sono segni premonitori di eventi come quello di Blatten?

Sì, normalmente ci sono. Prima di un grande collasso, ci sono piccoli segnali: crolli parziali, deformazioni, movimenti che si notano. Questi segnali vengono captati grazie alla sorveglianza sul territorio, anche satellitare, che in Valle d’Aosta ci fornisce dati ogni 15 giorni. Inoltre, il Corpo forestale garantisce una presenza capillare sul territorio. Il nostro livello di controllo è molto elevato.

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