Una “chiara dimostrazione dell’interesse della famiglia camorristica dei Contini nell’espandersi in altre regioni”. Così, nell’interdittiva antimafia firmata nel novembre 2020 dal Questore di Aosta Ivo Morelli, viene interpretato il trasferimento in Valle della sede legale della “So.ge.cra Srl – Società Generale Costruzioni Ristrutturazioni Appalti”, ritenuta interamente gestita da persone legate (per parentela o risultanze giudiziarie) ad esponenti del clan. E’ il provvedimento citato nella recente relazione al Parlamento sull’attività della Dia, nella quale per la prima volta, relativamente alla nostra regione, non compare solo la ‘ndrangheta, ma anche la criminalità organizzata campana. Un atto di cui, ad oggi, poco era trapelato.
Gli accertamenti scattano quando l’impresa (con attività prevalente i lavori di ristrutturazione ed il noleggio a breve e lungo termine di veicoli) richiede la comunicazione antimafia. Ne emerge un “quadro circostanziato” sui “collegamenti e sui possibili rischi di tentativi di infiltrazione e di forte condizionamento” delle scelte e degli indirizzi gestionali societari da parte della Camorra, che fa propendere il Gruppo interforze – competente a vigilare sul fenomeno – per l’interdizione. La società, sino al giugno 2018, quando l’assemblea dei soci ne approva lo spostamento ad Aosta, ha sede legale a Napoli, al domicilio dell’amministratore unico.
Un clan storico
Si tratta del 64enne Adriano Silvano Contini. Le quote sono divise in parti uguali tra lui ed altri due soci: suo fratello (che è anche direttore tecnico) e la moglie di un terzo fratello. Quel cognome, nel quartiere San Carlo all’Arena (ma non solo) racconta una storia. Parte da Edoardo Contini, cugino del titolare, oggi in carcere, ma inserito tra i trenta latitanti più pericolosi d’Italia tra il 2000 e il 2007. Non una comparsa nel malaffare all’ombra del Vesuvio. Detto “’O Romano”, è tra i fondatori dell’“Alleanza di Secondigliano”, maxi organizzazione che dagli anni ’80 si è impadronita di quasi tutti i traffici illeciti della città. Dal contrabbando alle estorsioni, passando per appalti e droga.
Essere parenti di un boss non implica automaticamente correità, ma un’ordinanza di custodia cautelare del Tribunale di Napoli colloca il legame tra i due oltre il “parentale, in quanto le vicende e lo spessore criminale” di Edoardo “si intrecciano con i rapporti economici del cugino Adriano Silvano, considerato ‘intoccabile’ nell’ambito socio-criminogeno napoletano”. C’è dell’altro: Ciro Contini, figlio dell’amministratore unico della “So.Ge.Cra.” (e nipote degli altri soci), conosciuto come “’O Nirone”, viene descritto dalla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea come “militante con rango apicale del pericoloso clan Sibillo, radicato ed operante nel centro storico” di Napoli, facendo parte del “gruppo di fuoco”.
L’ambasciatore del crimine
Risulta essere stato, nel 2012 e nel 2015 (periodi in cui non era detenuto), dipendente dell’azienda del padre. Tra le “mansioni” messe a fuoco negli accertamenti sfociati nell’interdittiva, affiora l’essersi attivato per risolvere la riscossione di un credito di 25mila euro verso un fornitore. Circostanza in cui, annotano in Questura, è documentato l’intervento di esponenti di altri clan territorialmente competenti a comporre la controversia. Ciro, però, avrebbe anche interpretato un altro ruolo, da ambasciatore del crimine, svelato dall’operazione “Hammer” del giugno 2019 a Rimini, in cui finisce in manette.
Un “blitz” a base di accuse per associazione di tipo mafioso, estorsione, sequestro di persona, intestazione fittizia di beni e impiego di denaro di provenienza illecita. E’ l’occasione in cui il clan – sottolinea l’ordinanza di custodia – “attraverso le capacità criminali di Ciro ha orientato le sue attenzioni verso altre regioni, esportando metodi propri della criminalità organizzata campana nella gestione delle attività illecite”. Anche in questo caso, agli occhi di chi ha ricostruito il contesto, la famiglia svolge un ruolo attivo, che va al di là “della mera assistenza filiale”, appurando come “gli interessi criminali vadano a braccetto e siano complementari con quelli economici della famiglia Contini”.
Gli accertamenti in Valle
La magistratura, due anni fa, dispone anche il sequestro preventivo di un autonoleggio sulla riviera romagnola: per gli inquirenti è “società di comodo attraverso cui poter riciclare i proventi delle attività delittuose poste in essere dai sodali”. E’ nell’episodio riminese che l’atto del Questore Morelli traccia il parallelismo con la Valle: l’esercizio dell’autonoleggio e lo stabilirsi in province del nord estranee al napoletano si ritrovano nell’agire della “So.Ge.Cra”, spostatasi ad Aosta, palesando così le “mire espansionistiche” del clan. Gli accertamenti in Valle restituiscono la natura fittizia della sede legale.
All’indirizzo indicato, non esiste altro che un servizio di domicilio postale. Riceve la corrispondenza dell’impresa e la inoltra all’indirizzo dell’amministratore unico. Inoltre, dall’istruttoria della Divisione Polizia Anticrimine, “non si rilevano attività imprenditoriali legate al territorio alpino”, né dipendenti assunti nella regione, o notifiche preliminari relative ai cantieri edili pubblici o privati avviati dall’impresa. Insomma, il trasferimento appare un “chiaro tentativo di eludere le cautele antimafia mediante attivazione delle procedure in una città diversa e distante da Napoli”.
Le domande irrisolte
Un quadro del genere basta per far scattare l’interdizione (che inibisce dal trattare con la pubblica amministrazione), nella constatazione che “la società è priva di quegli organi esterni alla ‘famiglia’ preposti alla pianificazione prima e, dopo, al controllo delle scelte aziendali”, così da rendere “autonoma e separata la gestione societaria dalla consorteria familiare e camorristica”. Tuttavia – pur dando atto che la Camorra abbia alla meglio lambito la Valle, perché le tracce riscontrate si fermano ad una presenza “cartacea” – la vicenda lascia sul tappeto almeno due interrogativi, ancor più attuali quando la Dia ricorda come “il territorio valdostano rientri fra le aree di interesse per le mire espansionistiche dei gruppi mafiosi”.
Data per assodata la natura fittizia del trasferimento di sede, scegliere proprio la Valle risponde ad una qualche convenienza di natura fiscale (il diritto camerale da corrispondere annualmente e l’Irap appaiono più bassi che altrove), oppure allontanarsi formalmente centinaia di chilometri dal luogo reale dell’attività è semplicemente un tentativo di “schermare” l’azienda, dissimulandola a chi deve compiere gli accertamenti antimafia? Inoltre, vista l’analogia con l’interdittiva che ha raggiunto un altro autonoleggio nello scorso marzo, occorre dedurre che il substrato libero-professionale “arruolato” dai boss, sempre più ricorrente nelle inchieste sul crimine organizzato, abbia posto un “occhio di riguardo” sulla nostra regione?