Caso Cuneaz: l’ispezione nei luoghi della “schiavitù”

Il collegio del tribunale di Aosta, presieduto da Carlomaria Garbellotto, i giudici Davide Paladino e Paolo De Paola, oltre alla difesa e all'accusa, rappresentata dal pm Luca Ceccanti, si sono recati nei luoghi dove si sarebbero svolti i fatti.
L'ispezione a Valpelline
Cronaca
E’ iniziato alle 10 di questa mattina, il sopralluogo presso l’azienda agricola della famiglia Cunéaz a Valpelline, accusata di riduzione in schiavitù. Il collegio del tribunale di Aosta, presieduto da Carlomaria Garbellotto, i giudici Davide Paladino e Paolo De Paola, oltre alla difesa e all’accusa, rappresentata dal pm Luca Ceccanti, si sono recati nei luoghi dove si sarebbero svolti i fatti. L’ispezione è stata fortemente voluta dalla difesa dei coniugi Cunéaz. Alla sbarra, con l’accusa di riduzione in schiavitù e sequestro di persona, nei confronti del loro ex dipendente Ahmed Naghim, 35 anni, siedono: Clelia Brédy, 53 anni, il marito Napoleone Cunéaz, 66 anni, il figlio Edy, 20 anni e il padre di lei Ugo Brédy, 83 anni.
E’ stato un sopralluguo attento e puntuale – ha commentato al termine dell’ispezione, l’avvocato Roberto Jorioz, che rappresenta i Cunéaz – il presidente ha voluto vedere tutti i luoghi, e lo ha fatto con minuzia di particolari. Abbiamo fortemente voluto questo sopralluogo perché vedere le cose di persona, cambia, che non vederle solo in fotografia”. All’ispezione erano presenti anche Clelia Brédy e il marito Napoleone Cunéaz. “I giudici hanno potuto vedere – spiega Clelia Brédy che Ahmed non viveva in un tugurio com’è stato detto e scritto. Certo, si tratta di una vecchia casa, ma dignitosa. E sicuramente non spettava a me andare a pulire la sua stanza. I giudici hanno potuto vedere che non siamo isolati, che ci sono vicini”. Per l’accusa, invece, le cose stanno diversamente. “E’ evidente che sono stati fatti dei lavori, per il resto vedremo”, ha commentato l’avvocato che rappresenta Ahmed Naghim.
Napoleone Cunéaz, che non è titolare dell’azienda agricola che è intestata a sua moglie, è amareggiato per la vicenda. “In questi anni – spiega – ho perso almeno 7 miliardi delle vecchie lire di lavori. Alcuni dei miei dipendenti, volevano licenziarsi, avevano paura di non essere pagati. Incredibile, ma io non ho nulla a che spartire con l’azienda agricola, che è di mia moglie, io ho la mia attività ”.
Durante l’ispezione è stato visto anche il famoso bagno, a pochi metri dall’abitazione in cui stava la parte offesa. Un bagno piastrellato, con lavandino, water, doccia, dotato di acqua e di una stufa a legna per il riscaldamento.
Durante la scorsa udienza, del 21 maggio, il brigadiere dei carabinieri, che ha svolto le indagini, ha testimoniato che il bagno era privo di acqua, sporco, che chiaramente non era utilizzato da tempo, e il water pieno di escrementi secchi. Il militare aveva anche spiegato che quando avevano trovato Ahmed, il ragazzo era sporco di sangue, impaurito e la stanza era in condizioni fatiscenti. Il processo riprenderà il primo ottobre, con l’audizione degli imputati, poi le arringhe finali prima della sentenza.

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