Se per molti valdostani ottenere un tampone molecolare per capire se sono positivi al Covid-19 assume le tinte di un’odissea, non cessano le segnalazioni analoghe anche per quanto riguarda coloro che devono sottoporsi all’esame per certificare l’avvenuta guarigione. L’ultima è arrivata in redazione nelle ultime ore. E’ di una donna, Ilaria Cannatà, che racconta come il marito “asintomatico da lunedì 26 ottobre, vale a dire da 8 giorni”, e “rientrando quindi ampiamente nelle condizioni che prevedono l’esecuzione” dell’esame “per permettere il rientro in comunità” ha composto, su indicazione del medico curante “il numero non emergenze della CUS”.
Là, segnala la lettrice, gli è stato “detto di rivolgersi al servizio di igiene pubblica” dell’Usl, che “a seguito di conversazione telefonica, lo ha invitato a scrivere” una e-mail, “con la quale richiedeva informazioni per avere la possibilità di effettuare il tampone”. Nessuna risposta e l’uomo ha “contattato nuovamente il servizio igiene, che stavolta “gli ha fornito il numero di cellulare aziendale del responsabile o, in alternativa, lo ha invitato a chiamare la CUS”. Al cellulare, continua il racconto, “non ha risposto nessuno (mio marito ha anche provato invano ad inviare un sms)”, pertanto ha contattato la Centrale unica, “sentendosi rispondere di chiamare il centralino del centro ospedaliero”.
Quest’ultimo tentativo si è risolto nell’indicazione di “rivolgersi all’ufficio igiene”, che originariamente aveva indicato “di chiamare la Cus”. “Tutto ciò – aggiunge Ilaria Cannatà – va avanti da giovedì scorso, 29 ottobre. La nostra famiglia è separata da domenica 18 e mio marito è bloccato in un altro alloggio senza sapere se è negativo, e quindi potrebbe ritornare alla sua vita di sempre, o se ancora positivo”. “Sono accettabili e comprensibili i ritardi, – conclude la lettrice – anche se non giustificati perché quello che sta succedendo era prevedibile, ma che non vengano date risposte agli utenti, questo non è da Paese civile”.
Indagando sulla situazione, emerge che la Valle d’Aosta ha recepito soltanto in parte le variazioni introdotte lo scorso 12 ottobre da una circolare del Ministero della Salute in fatto di durata e termine dell’isolamento e della quarantena. Sia per i positivi sintomatici, che per quelli asintomatici il periodo di isolamento al termine del quale verificare l’avvenuta guarigione è stato ridotto ad “almeno 10 giorni” (in origine erano 14). Inoltre, viene effettuato solo più un tampone di controllo, che, qualora negativo, permette la “liberazione” dell’isolato (una volta ne erano necessari due, a distanza di almeno ventiquattr’ore, con allungamento dei tempi e maggior carico per il sistema), fatto che porterà alla “scomparsa” dal bollettino quotidiano dei dai sul virus dell’indicazione sui “guariti clinici”, cioè coloro che presentavano un primo test di guarigione negativo.
Ciò che non accade nella nostra regione, come confermato da informazioni ricevute dall’Assessorato alla Sanità, è l’applicazione della procedura dettata dalla circolare per i “Casi positivi a lungo termine”, cioè vale a dire quelle persone che “pur non presentando più sintomi, continuano” ad avere il tampone che rileva la presenza di Sars-Cov-2. In Valle, li si continua a sottoporre a tampone, fino al manifestarsi della negatività, prolungando il loro isolamento ad ogni test. Costoro, spiega in realtà la circolare del ministero, “in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia 4 che possono perdurare per diverso tempo la guarigione) da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi” senza effettuare il test.
E’ la modalità raccontata, tra l’altro, dal direttore de “La Stampa”, Massimo Giannini, nel suo editoriale di domenica scorsa, che è stato “restituito” alla sua vita quotidiana proprio in questi termini. La circolare spiega che “questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere più lungo). Si tratta quindi di una procedura non percorribile in modo generalizzato, ma è spontaneo chiedersi perché – vista oltretutto la sofferenza del sistema dei tamponi in Valle (ed anche le limitate capacità del loro sviluppo) – non venga valutata per i casi ove possibile.