La rete delle ‘ndrine che strozza la Valle

10 Marzo 2013

Nelle riviste di enigmistica la chiamano “la pista cifrata”: tanti numeri posizionati in modo apparentemente casuale, se uniti gli uni agli altri con un tratto di penna, compongono un disegno particolare, rivelano, alla fine del gioco, una forma coerente, alla quale si può dare un nome. Allo stesso modo, se si prendono in considerazione uno in fila all’altro tanti episodi della storia recente valdostana, piccoli e grandi, può emergere la ragnatela di interessi e connivenze che la ‘ndrangheta ha pazientemente intessuto nei decenni. Incendi sospetti, omicidi irrisolti, intimidazioni, estorsioni, casi di usura, arresti, sequestri di beni hanno definitivamente affossato l’illusione di essere al riparo dalle infiltrazioni mafiose. Le piste sono molte, c’è quella delle estorsioni, quella del traffico di cocaina, quella del maxi-sequestro dei beni immobili riconducibili a Giuseppe Nirta, quella dell’usura, per non parlare delle varie inchieste legate al riciclaggio che periodicamente investono il Casinò, anche in questi giorni. Negli ultimi dieci anni, in particolare, sono stati registrati molti, troppi incendi di natura dolosa legati ai cantieri e ai macchinari usati nell’edilizia e nella falegnameria, con un picco tra il 2007 e il 2010. Ed è proprio a partire dai roghi che si sviluppa l’inchiesta televisiva andata in onda qualche mese fa su Rainews24, dedicata alla “ragnatela invisibile” della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta.

In tutto il Nord Italia da anni oramai si è spezzata la pericolosa illusione secondo cui le mafie sarebbero un problema del meridione. E’ stato un brusco risveglio anche per la Valle d’Aosta, per quanto i segnali non siano mancati, negli ultimi decenni. Finora non ci siamo fatti mancare nulla: dalla prima autobomba contro un magistrato mai registrata in Italia, ai danni dell’allora pretore di Aosta Giovanni Selis, nel 1982, agli omicidi degli anni ’90 (i casi di Giuseppe Mirabelli e Gaetano Neri, assassinati a causa di faide tra famiglie, e dei due cambisti del Casinò Franco Formica e Michele Mariano), dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Caruso, cognato di Neri, alle vicende più recenti, caratterizzate da numerosi arresti.

Tra i soggetti intervistati da Rainews2 ci sono i giornalisti Roberto Mancini ed Enrico Martinet, che hanno ripercorso brevemente gli ultimi anni di cronaca giudiziaria valdostana, segnalando gli episodi più eclatanti. Li abbiamo incontrati per riprendere le fila del discorso.
Secondo Roberto Mancini “Gli incendi dolosi nei cantieri sono reati-spia, segnalano anomalie, tentativi di estorsione e altri comportamenti criminali. Se la stessa identica quantità di reati fosse concentrata in una città di cento, centoventimila abitanti, scatterebbe l’allarme sociale. Invece questi fenomeni sono diffusi in tutto il nostro territorio regionale, costituito da decine di piccoli comuni, e in una realtà frammentata come la nostra la percezione della pericolosità della situazione è diluita”. La tesi del giornalista si spinge oltre. A complicare la situazione, sostiene Mancini, è il paradigma dell’identità valdostana “intesa come un fenomeno basato su criteri esclusivamente etnico-linguistici e non etici e comportamentali. La famiglia, il clan, le origini, il folklore, valdostani o calabresi, sono più importanti dell’adesione intima e profonda ad un codice comune di leggi che regolano la convivenza civile, l’unico anticorpo possibile rispetto all’infiltrazione mafiosa. Non per nulla anche nei feudi della Lega la ‘ndrangheta detta legge, bisogna correre ai ripari”. La situazione, però, è ad un punto di svolta: “Per la prima volta un pubblico ministero della procura di Aosta, il sostituto procuratore Daniela Isaia, è stata applicata alla DDA torinese, è una forma di collaborazione che ha già mostrato di funzionare, è una notizia eccellente”.

E purtroppo ciò che emerge non è che la punta dell’iceberg. “Non siamo più solo un mercato, una piazza di transito per la ‘ndrangheta, le azioni partono direttamente da qui” afferma Enrico Martinet, de La Stampa. “Un tempo sbarcavano in Valle strani personaggi con valige piene di soldi, si stabilivano in loco e venivano poi reperiti, ora arrivano direttamente i soldi, assegni che vengono presi in consegna da gente del posto. Hanno alzato il tiro, e lo dimostra anche il tentativo di estorsione ai danni di Monteleone (operazione Tempus Venit). In un momento di crisi generale in assenza di liquidità, la situazione è più preoccupante. Non sono ancora emerse grosse inchieste legate all’acquisto, da parte delle cosche, di vari esercizi commerciali, ma è questione di tempo, il settore turistico fa gola, è un mercato sommerso molto preoccupante. Ma sono fiducioso, i nodi verranno al pettine grazie all’azione giudiziaria” dichiara il giornalista.
 

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