Recandosi in ospedale il 19 aprile scorso ed operando una paziente, mentre era sottoposto a quarantena domiciliare perché positivo al Covid-19, il chirurgo Gianluca Iob ha violato le norme previste da un decreto sull’emergenza epidemiologica. È la conclusione del pm Francesco Pizzato che, alla luce delle indagini svolte dai Carabinieri del Reparto operativo del Gruppo Aosta, ha chiesto al Gip del Tribunale l’emissione di un decreto penale di condanna per il medico, nonché per i due dirigenti che ne consentirono e curarono lo spostamento dall’abitazione dov’era isolato al “Parini”.
Si tratta dell’allora direttore sanitario dell’Usl Pier Eugenio Nebiolo e del responsabile della Centrale operativa sanitaria 118, Luca Cavoretto. Per ognuno dei tre, la richiesta della Procura è di un’ammenda di 5mila euro. L’operazione aveva riguardato una 60enne straniera, stabilitasi da anni in Valle, colpita dalla dilatazione dell’arteria splenica. Secondo le risultanze investigative, il dottor Iob era stato autorizzato a recarsi in ospedale con una e-mail del Direttore sanitario e prelevato al suo domicilio ed accompagnato in ospedale (e poi riportato all’abitazione) da un’ambulanza, su disposizione del responsabile 118.
Tutto ciò, secondo gli inquirenti, è avvenuto senza però che fosse stata sospesa l’ordinanza, sottoscritta dal vicesindaco di Aosta Antonella Marcoz (per temporanea indisponibilità del sindaco Fulvio Centoz, a sua volta in quel periodo contagiato dal nuovo Coronavirus), con cui il medico era stato posto in isolamento, a seguito dell’accertata positività. Stando agli accertamenti dei militari, dall’azienda sanitaria erano partite varie telefonate in quella circostanza (in particolare, una alla Questura e una al primo cittadino del comune), ma nessuna giuridicamente efficace per modificare la condizione del chirurgo.
Sentito dagli inquirenti, il Vicesindaco che aveva emanato l’atto ha riferito di non essere nemmeno stato contattato in merito. Le investigazioni – passate anche per il sequestro della cartella clinica della paziente (sottoposta a tampone Covid-19 nei giorni successivi, con esito negativo) e del registro operatorio – hanno riguardato inoltre la valutazione sull’urgenza dell’intervento compiuta dalle autorità sanitarie, per cui l’operazione era “salvavita” (in ragione delle condizioni della donna) e presentava un margine di complessità per cui esclusivamente il dottor Iob sarebbe stato in grado di affrontarla.
Al riguardo, nella tesi inquirente, era invece percorribile un’alternativa non operatoria e, se anche la chirurgia fosse stata l’unica strada, agli occhi della Procura resta incomprensibile come con otto medici in organico nella struttura complessa di riferimento (numero poco diverso dalle “Molinette” di Torino, che serve un’area metropolitana da oltre 2 milioni di abitanti) all’azienda sanitaria sia risultato maggiormente adeguato assumersi i rischi derivanti dalla soluzione attuata, tanto che il chirurgo vascolare reperibile in quel turno – stando agli approfondimenti effettuati – non è stato nemmeno contattato.
Infine, l’inchiesta ha messo in luce come né il paziente, né i suoi familiari, siano stati informati del fatto che l’intervento sarebbe avvenuto per mano di un chirurgo positivo al Covid-19, domandando loro un consenso al proposito. Pubblicamente, l’allora direttore sanitario Usl Nebiolo aveva riferito ai media che il medico era risultato “debolmente positivo”, quindi in condizione di intervenire, e che era stata scelta una sala operatoria “a pressione negativa”, così da evitare il ricircolo esterno dell’aria e la diffusione di eventuali agenti patogeni e batteri. Argomenti che non superano, per gli inquirenti, lo “scoglio” della violazione della quarantena.
Tutti e tre i medici sono difesi dall’avvocato Corrado Bellora del foro di Aosta. “La reputo una gravissima ingiustizia. – sottolinea il legale, rispetto alla richiesta della Procura – Con la decisione di operare per evitare il distacco di un aneurisma è stata salvata una vita. Subire una condanna penale per aver salvato una vita è paradossale. Per questo, faremo opposizione al decreto penale di condanna, chiedendo il processo. È un processo che sono fiero di fare, perché difendo tre medici che hanno salvato la vita di una persona”.
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Sarebbe bastata la sospensione temporanea dell’ordinanza :la solita burocrazia che ci sta
rovinando siamo peggio di una repubblica delle banane e non ce ne rendiamo
nemmeno conto.