Parla il procuratore capo Fortuna: “In Valle la corruzione esiste e non è episodica”

05 Luglio 2018

A fine gennaio 2017, l’arresto dell’ex pm Pasquale Longarini, in quel momento Procuratore capo facente funzione, scuoteva il palazzo di giustizia come un terremoto. A prestare le “prime cure” alla Procura decapitata dallo “scandalo” giunse, per sei mesi, il torinese Giancarlo Avenati Bassi, in qualità di “reggente”. Quindi, la nomina del Csm del titolare: il campano Paolo Fortuna, arrivato in via Ollietti il 5 luglio dell’anno scorso. Dodici mesi dopo, gli argomenti da affrontare con lui, partendo dal “traguardo” tagliato proprio oggi, non mancano.

Procuratore capo Fortuna, quale situazione ha trovato al suo insediamento e quale vede oggi?
“Prima ho avuto la sensazione, poi la conferma, di una realtà di persone capaci e con una gran voglia di lavorare. A tutti i livelli del personale e con dei Sostituti procuratori desiderosi di investigare. Certo, ancora turbati: la vicenda seguirà il suo corso e non posso che augurarmi una soluzione positiva per il collega coinvolto. Io mi sono messo ‘pancia a terra’. Per essere efficaci nell’indagine serve essere sbrigliati da qualsiasi forma di burocrazia. Una grande scommessa. Mi sembra che abbia dato i suoi risultati”.

A quali pensa, in particolare?
“Abbiamo appena concluso una verifica ispettiva, capillarissima, all’esito della quale non è stata evidenziata una sola criticità nell’andamento del servizio inquirente valdostano”.

Serviva ribadire, nei confronti dell’opinione pubblica, l’esistenza della Procura della Repubblica?
“Non so dire cosa accadesse prima. Non spetta a me lanciare dei segnali. Il controllo di legalità sulle condotte non deve guardare in faccia nessuno. O meglio, deve guardare in faccia tutti. Attenzione, però, mai un controllo giudiziario sull’azione politica, ma penetrare le modalità di conduzione di opzioni politico-amministrative. Se sono delittuose, non ce ne deve essere per nessuno”.

Sono aperti fascicoli su ambiti chiave della regione, come il Casinò. Il comparto pubblico valdostano ha avuto meno anticorpi di quanto si pensasse?
“Gli anticorpi dei comparti che compongono la cosa pubblica, ci piaccia o no, li fanno le persone preposte ad essi. Fin quando si è assistiti da una forte tensione morale, le cose vanno. Quando ciò viene meno, quando cominciano a crearsi ‘buchi’ nel percorso ideale, inizia il calo e, a volte, si ha il crollo”.

Nelle società controllate dall’amministrazione regionale, la Procura ha individuato “un’anomalia tutta valdostana”, terreno fertile per fenomeni non cristallini. Uno scenario che presuppone tempi di stratificazione: c’è stata poca attenzione?
“È anomalo non solo il proliferare delle società, ma anche l’impiegare delle partecipate al 100% e farle diventare il centro di raccolta, tramite assunzioni o elargizioni, di consensi. Forse l’autonomia regionale ha consentito normativamente la proliferazione e il fenomeno, per quanto non peculiare, qui si respira di più. Certo, non nasce dall’oggi al domani. Mi piace pensare che sia stato immaginato in termini di efficienza di sistema e poi, come a volte purtroppo accade, piegato ad altre esigenze”.

In passato, le indagini su politici e amministratori hanno riguardato soprattutto appalti. Oggi, la sfera sembra essere un’altra.
“La corruzione in Valle c’è e non è connotata da episodicità. Determinate funzioni pubbliche sono state rivestite da taluni con una preponderante propensione all’accumulo di interessi propri. Un modo per conquistare, consolidare e mantenere lo status quo. Circostanze che sono state indagate e sono diventate fatti di reato”.

Spicca un’ipotesi di associazione a delinquere a carico di un ex Presidente della Regione, Augusto Rollandin, l’allora massima figura politico-amministrativa della Valle. I valdostani devono sentirsi “truffati”?
“Non lo so. Osservo che quando si parla di corruzione ci sono un corrotto ed un corruttore. È uno tra i crimini più odiosi in assoluto, la miseria umana elevata a sistema. Anche perché sortisce quell’effetto paradossale per cui, agli occhi di chi entra in relazione con il corrotto, il pubblico ufficiale che strumentalizza il suo mandato ‘è bravo, ha capito quali sono i miei problemi, mi viene incontro’. Un paradosso che andrebbe disvelato”.

Servirebbe, però, un cambiamento culturale ed erroneamente si pensa che possa essere indotto dalle inchieste.
“Le indagini e i procedimenti penali hanno un perimetro ben preciso: fatti, circostanze e persone cui sono relativi. Un magistrato non è l’orientatore culturale di nessuno. Un giornalista, un insegnante, un genitore, anche un sacerdote, lo sono”.

Quindi anche alcuni corpi sociali, penso alle forze politiche, nello sperare silenziosamente nei pm per “le pulizie di casa” abdicano alla loro funzione.
“Certo. Un sistema ideale sarebbe quello in cui le individualità che compongono l’establishment politico-amministrativo dall’interno espellano quei corpi che non rivestono più il loro ruolo. Non vorrei parlare della ‘Città del sole’ di Campanella, ma sarebbe la migliore risposta di un sistema politico. Non per autodefinirsi virtuoso, ma per affermare ‘io sono la politica’, nel senso più alto del termine. Perché quando la fanno persone sane e competenti, si vede”.

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