Sono state scritte in Valle d’Aosta alcune pagine della storia di Leonardo Gallitelli, già comandante generale dei Carabinieri dal 2009 al 2015, l’uomo che Silvio Berlusconi vorrebbe alla guida del governo del Paese, anche se il resto del centrodestra pare tutt’altro che corale sull’ipotesi ed è impegnato, proprio in queste ore, in un fitto dibattito al riguardo.
Oggi sessantanovenne, da due anni al vertice dell’Agenzia nazionale antidoping, all’ufficiale venne infatti assegnata la responsabilità della compagnia di Aosta dell’Arma quando di stelle sulle spalline della divisa indossata per la prima volta nell’ottobre 1967 ne aveva “soltanto” tre e per i “suoi” militari era il “signor Capitano”.
Correva il settembre 1975, di anni Gallitelli ne aveva 27 e l’incarico nella nostra regione sarebbe durato sino al maggio 1979. Quarantacinque mesi nei quali si occupò di vari casi di infiltrazione del crimine organizzato (tutt’altro che trascurabile il fatto che, all’epoca, a comandare la Regione militare di Nord-ovest dell’Arma, direttamente competente sulla Valle, fosse il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nome che nella storia dei Carabinieri parla da sé) e anche, al Casinò de la Vallée, di una vicenda di spaccio di banconote frutto di un sequestro di persona.
Il suo nome è però legato anche ad uno dei primi arresti “eccellenti” che le cronache della valle ricordino. La mattina del 17 giugno 1977, assieme a due militari e con un mandato di cattura spiccato dal pretore Giovanni Selis (che al tempo era impegnato, in particolare, in indagini contro gli abusi edilizi) si presentò nell’ufficio di Bruno Milanesio, arguto “golden boy” della politica valdostana sotto l’egida del Partito Socialista Italiano e Assessore al turismo ed urbanistica sin da pochi mesi dopo la sua elezione in Consiglio regionale, avvenuta nel maggio 1968, con conferma nel luglio 1973.
Stava per iniziare una riunione della Giunta e il capitano Gallitelli invitò l’amministratore a seguirlo in caserma. Tra quelle mura, la notifica del fermo. La “cartella e mezza dattiloscritta in modo fitto”, firmata dal Pretore, parlava di “abuso innominato in atti di ufficio”, elencando poi contestazioni in bilico tra corruzione e concussione. I fatti erano legati alla costruzione del residence “Ciel Bleu”, nella conca di Pila, stazione sciistica nel comune di Gressan.
I lavori avevano preso il via nel 1975, nell’ambito di un piano urbanistico in più lotti, approvato dalla Regione con una delibera di due anni prima. Secondo l’accusa, Milanesio (che nella fase delle indagini preliminari sfidò di fatto la magistratura, non rispondendo alle domande durante gli interrogatori) era coinvolto nell’operazione immobiliare, in qualità di socio occulto, sia nella fase di acquisizione dei terreni, sia in quella di realizzazione del complesso.
Per il resto della Giunta che aveva votato l’atto di lottizzazione dei terreni, incluso il presidente Cesare Dujany dei Democratici Popolari, scattò, nel luglio 1977, il “non doversi procedere perché i fatti non costituiscono reato”: il giudice valutò che l’operato degli altri assessori e del Capo dell’esecutivo, nell’adottare quella delibera, non intendeva creare vantaggio per alcuno.
Ben diversa, per gli inquirenti, la posizione di Milanesio che, riuscendo a far passare il provvedimento, malgrado le titubanze dei colleghi di governo (vinte anche con un parere legale), avrebbe ottenuto un vantaggio concreto. Rinchiuso nella Torre dei Balivi (allora carcere di Aosta, prima che sorgesse la casa circondariale di Brissogne), in una cella condivisa con altri quattro detenuti, l’ex assessore arrivò al processo di primo grado, con l’accusa di interesse privato in atti d’ufficio.
Le udienze si susseguirono e il 6 dicembre 1977 arrivò la prima sentenza: il Tribunale di Aosta, ritenendolo colpevole, lo condannò a 3 anni e 3 mesi di carcere, oltre a 600mila lire di multa. Milanesio rimase in cella e il processo alla Corte d’Appello di Torino, che si chiuse il 28 giugno dell’anno dopo, vide una riduzione della pena, portata a 2 anni e 7 mesi di carcere.
In quell’occasione, in aula, a replicare ai legali degli imputati fu un’altra figura che incrocia la storia della Valle, dando oggi il nome al Tribunale di Aosta, dove prestò servizio per alcuni anni quale Procuratore: Bruno Caccia. Al tempo, il magistrato assassinato il 26 giugno 1983, era Sostituto procuratore generale. In quella requisitoria disse: “io so che Milanesio e Bonazelli (l’altro imputato, ndr) hanno costituito una società, la ‘Re.Val.’, dove Milanesio figurava con un prestanome. Anche sulla misura della pena sono d’accordo con i giudici di primo grado, tenuto conto dell’alta posizione di responsabilità, come funzionario pubblico, ricoperta da Milanesio”.
Anche dopo quel giudizio, il politico valdostano restò in carcere. Quando le porte della cella si riaprirono, ridandogli la libertà, aveva trascorso un anno, un mese e sedici giorni in custodia preliminare. La Cassazione, pur confermando la condanna, cancellò la confisca dei dodici alloggi del residence disposta a carico di Milanesio, ordinando al Tribunale di Aosta di restituirglieli. Il motivo? Il reato era ideologico, quindi quelle unità immobiliari non potevano esserne il provento.
Con la chiusura della vicenda, arrivò anche, chiesta dalla Federazione valdostana, la riammissione dell’ex assessore al Partito Socialista Italiano, che lo aveva espulso dopo l’esplosione dello “scandalo del Ciel Bleu”. Commentando il “semaforo verde” giunto dalla Commissione di controllo nazionale, Milanesio (che sarebbe poi tornato in Consiglio Valle dal luglio 1988 al giugno 1993) disse: “il passato esiste, è lì, sarebbe stupido nasconderlo. Ho fatto errori e li ho pagati. Ora mi porto dietro qualche rimorso, rimpianti nessuno”.
Parole dell’ottobre 1982, pronunciate quando Leonardo Gallitelli aveva già lasciato Aosta. Dopo il comando della compagnia di Genova Portoria, sarebbe tornato vicino alla Valle, in Piemonte, per assumere, nel settembre 1988, il primo incarico da ufficiale superiore, quello di comandante del Gruppo Carabinieri di Torino. L’inizio di un “salto di qualità” che lo ha proiettato sino ai vertici dell’Arma. Se arriverà a governare il Paese saranno il futuro (e le riunioni tra alleati che si susseguono in queste ore) a dirlo.