Lo avevano arrestato i Carabinieri, nella notte tra il 26 e il 27 ottobre scorsi, a Pré-Saint-Didier. Trasportava undici, tra iraniani ed iracheni, su un furgone. Diretto verso il colle del Piccolo San Bernardo per espatriare, vistosi scoperto aveva provato a fuggire dai militari, finendo però contro alcune auto in sosta. Incarcerato a Brissogne, il 23 gennaio scorso, al Tribunale di Aosta, Salvatore D’Urso, 51enne originario di Pompei, aveva patteggiato due anni e quattro giorni di reclusione (assieme ad una multa da 123mila euro), per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, resistenza a pubblico ufficiale e guida sotto l’effetto di stupefacenti.
Raggiunto un accordo tra pubblico ministero e difesa, non ci si aspetterebbe un’impugnazione, ma l’uomo ha successivamente proposto ricorso in Cassazione. Tre i motivi sostenuti: le persone trasportate “erano sette e non undici” (elemento che avrebbe fatto venire meno un’aggravante contestata); la nazionalità degli stranieri (di etnia curda) li rendeva parte di una “popolazione sottoposta a gravi persecuzioni”, con necessità di inquadrare il “viaggio” verso la Francia quale attività di soccorso ed assistenza umanitaria (esclusa dai reati sull’immigrazione clandestina); la sospensione della patente di guida per tre anni (conseguente alle condizioni dell’uomo) non era “oggetto dell’accordo di patteggiamento”, risultando quindi “non applicabile dal giudice”.
Tesi che i magistrati della prima Sezione penale della Suprema Corte, riuniti in udienza il 14 maggio scorso, hanno ritenuto inammissibili. Nell’ordinanza pubblicata negli scorsi giorni si legge infatti che “la possibilità di ricorrere per Cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è, invero, limitata ai soli casi di errore manifesto”, mentre “le deduzioni del ricorrente rimandano a una situazione di fatto (numero dei trasportati e loro nazionalità) diversa da quella pacificamente posta dalle parti a base dell’accordo, poi ratificato dal giudice”. In sostanza, se le cose fossero state come sostenuto nell’impugnazione, perché non eccepire già all’udienza di primo grado?
Quanto alla doglianza sulla sospensione della patente – “al di là della sua eccentricità” rispetto alle possibilità offerte dalla legge di ricorrere in Cassazione a seguito di patteggiamento da parte dell’imputato – per i giudici la stessa “confligge con l’assodato principio di diritto secondo cui”, nel caso di pena concordata tra le parti, “devono essere sempre applicate le sanzioni amministrative accessorie che ne conseguono”. Ergo, la sentenza del Tribunale di Aosta resta intonsa e D’Urso (arrestato e scarcerato in Piemonte, per rapina impropria, tre giorni prima di quanto accaduto in Valle) è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di tremila euro alla cassa delle ammende.