Era tornato a casa, in una località del sud Italia, per un periodo di ferie. Al momento di rientrare al lavoro, però, non si è presentato. Lo ha fatto alcuni giorni dopo, sostenendo di essersi ammalato e presentando un certificato medico che però ha destato subito sospetti. Le date del periodo di malattia apparivano infatti alterate a mano.
Inesorabile la denuncia, sfociata nel processo celebrato ieri, martedì 20 settembre, al Tribunale di Aosta, dinanzi al giudice monocratico Marco Tornatore, che ha condannato l’imputato a cinque mesi di reclusione (pena sospesa per effetto della “condizionale”) e a risarcire al datore di lavoro i costi sostenuti relativamente ai giorni figuranti sull’attestazione falsa, quantificati in 464 euro.
Il versamento sarà a favore dell’Amministrazione dello Stato, perché il protagonista della vicenda è un agente di Polizia penitenziaria, Cosimo D’Oronzo, 28 anni, nato in provincia di Brindisi, all’epoca in servizio al carcere di Brissogne ed oggi trasferito in una casa circondariale in Puglia.
I fatti risalgono al 2014. L’uomo trascorre un primo periodo di malattia, regolarmente certificato, in aprile. Poi, le ferie, dalle quali non rientra, se non una settimana dopo, presentando poi alla segreteria del carcere l’attestazione medica (relativa a sette giorni alla fine di maggio) che gli è valsa le accuse di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale e truffa.
Interrogato dal Pubblico ministero, l’imputato ha riconosciuto le sue responsabilità, riconducendo il gesto al fatto di essere stato effettivamente colpito da malattia durante le ferie, ma di non essersi potuto recare alla struttura ospedaliera più vicina per ottenere il certificato perché situata a quindici chilometri dalla sua abitazione e sprovvisto di chi potesse accompagnarlo. A vantaggio della sua tesi ha inoltre dichiarato di aver perso i soldi spesi per l’acquisto dei biglietti di ritorno, già comprati per la data di fine delle ferie.
L’avvocato difensore di D’Oronzo, Lorenza Palma del foro di Aosta, ha sottolineato, a sostegno della buona fede del suo assistito, la carriera modello dell’uomo, nella quale figurano tra l’altro due encomi, relativi all'aver salvato un detenuto che aveva tentato il suicidio e alla cattura di un evaso. Elementi che, tuttavia, non hanno evitato la condanna.