“Se devo partecipare voglio premiare chi mi ha contattata per prima”. E’ il messaggio WhatsApp, emerso nell’udienza del processo “Geenna” in corso oggi, giovedì 25 giugno, con cui Monica Carcea, ex assessore al comune di Saint-Pierre e imputata per concorso esterno in associazione mafiosa, rifiutò la proposta di candidatura avanzatale, in vista delle elezioni amministrative del 2015, da Alessia Favre, impegnata a comporre una lista per partecipare alla competizione.
Lo ha raccontato la stessa Favre, capogruppo di opposizione fino allo scioglimento dell’amministrazione comunale e oggi consigliere regionale, chiamata quale testimone dalla difesa Carcea, tornando sull’incontro con la donna. “Ci siamo viste in un bar, abbiamo bevuto un caffè e a lungo chiacchierato. – ha detto – Ho illustrato a lungo il programma elettorale e ben spiegato che ci ponevamo come alternativa alle forze di governo di livello regionale. All’epoca ero Presidente dell’Union Valdôtaine Progressiste”.
Per parte sua, Carcea – accusata di essere stato il riferimento in Municipio della “locale” di ‘ndrangheta oggetto delle indagini – “fu molto chiara, disse di essere stata contattata alla lista in cui poi si presentò”, che esprimeva il tandem Lavy-Bonomi, “non negò di avere delle trattative in corso”. Per la verità, ha riconosciuto Favre, “andai là aspettandomi un ‘no’. La nostra lista era come una piccola navicella davanti all’Enterprise. Non è mai facile andare a chiedere di partecipare a una lista che, si sa già, non ha grosse chance di vincere”.
Sul perché ci fosse interesse per la candidatura di Carcea, la testimone è stata altrettanto chiara, dicendo che “mi era stata indicata come possibile rappresentante della comunità calabrese di Saint-Pierre” e, inoltre, “sapevo il forte lavoro da lei svolto nelle associazioni culturali, ma anche nella parrocchia”. “Il fatto di chiedere a Monica un interesse a partecipare alla nostra lista mi fu non solo suggerito, ma anche indicato dal parroco di Saint-Pierre”.
Il pm Stefano Castellani, al termine dell’esame testimoniale, ha chiesto a Favre se conoscesse il consigliere regionale Alessandro Nogara. “Certo, abbiamo militato assieme nello stesso movimento politico, l’Union Valdôtaine Progressiste”. “Immagino – ha proseguito il rappresentante dell’accusa – che Nogara fece campagna elettorale per lei…”.
La testimone ha quindi osservato: “ho letto sui giornali e sono a conoscenza di fatti che la portano a farmi questa domanda”. Il riferimento è all’incontro, monitorato dai Carabinieri del Reparto Operativo durante l’inchiesta, tra Nogara e il ristoratore Antonio Raso (imputato quale partecipe della “locale” di ‘ndrangheta), in cui il primo chiese sostegno elettorale per la candidatura di Favre.
Le ragioni dell’interesse dello schieramento poi risultato vincente alla candidatura di Carcea sono invece state delineate da Giuseppe Jocallaz, già assessore in giunta con la donna: “stavamo costruendo una lista per le amministrative e si cercava di capire chi potesse essere interessato, con esperienza nei vari settori” e la donna, cui andò poi la delega alla programmazione finanziaria, si era laureata da poco con “una tesi sulla legge regionale sulla finanza locale”.
Sollecitato dal presidente Eugenio Gramola, il testimone ha poi precisato che l’interesse era legato, nel caso specifico, ad “un insieme di cose”, tra le quali il rispetto delle “‘quote rosa’ e la rappresentanza di genere nella giunta e poi certo aveva anche una famiglia numerosa”. Quanto all’incarico di rappresentante del Comune in seno alla Pro-loco del Paese andato a Carcea, rispondendo all’avvocato Claudio Soro, difensore dell’imputata, il teste ha ricordato che “ne discutemmo” e “si riteneva che fosse giusto che si trattasse di un componente della Giunta, per avere un raccordo ancora più diretto con la pro-loco stessa”.
Carcea, nella ricostruzione sentita in aula, propose a Jocallaz l’incarico, ma “ero impegnato con il piano regolatore e le manutenzioni e declinai”. Sullo stesso tema è intervenuto anche Ermanno Bonomi, ex vicesindaco del Comune, inizialmente rappresentante dell’ente nella pro-loco, ma “vedendo che non c’era una condivisione di vedute ho ritenuto opportuno fare un passo indietro e dare spazio a qualcun altro”. L’udienza continua con altri testimoni legati al tessuto sociale del Paese.