Lo scorso 12 luglio, degli alpinisti avevano trovato alcuni resti umani, e parti di equipaggiamento da montagna, durante un’ascensione sul ghiacciaio del Teodulo. Il luogo del ritrovamento, nonostante il bacino superiore di quei ghiacci (che scendono dalla parte occidentale del Breithorn) tocchi la Valle, era in territorio svizzero, nel comune di Zermatt. L’esame del Dna ha permesso di ricondurre materiale e resti ad un alpinista tedesco, disperso nel 1986.
L’uomo, che allora aveva 38 anni, non era rientrato dopo un’escursione in montagna. Le ricerche condotte all’epoca non avevano condotto ad alcun risultato. Tra gli oggetti ritrovati quindici giorni fa, anche uno scarpone e un rampone in condizioni di quasi totale integrità. I brandelli di attrezzature e i resti sono stati trasportati al Servizio di medicina legale dell’Hôpital du Valais, a Sion.
Gli esami sono stati condotti in collaborazione con la sezione “Identité judiciaire” della Polizia cantonale del Vallese. Tra i diversi test condotti, quello del Dna, che ha consentito di stabilire che si trattava dell’alpinista di cui mancavano notizie da trentasette anni. L’arretramento dei ghiacci, conseguenza delle mutazioni climatiche, rende sempre più frequenti episodi del genere.
Così, lo scorso febbraio, sul Grand Combin, erano emersi resti di uno scalatore inglese disperso dal 1974. Nel 2018, sul Cervino, erano emersi equipaggiamenti e ossa di un alpinista giapponese di cui si erano perse le tracce nel 2014, mentre un anno prima lo stesso era accaduto sul ghiacciaio del Miage, nel massiccio del Bianco. In quel caso, l’identificazione aveva condotto a due ventenni: uno tedesco e l’altro turco.