Ad un 43enne residente a Torino, il giudice monocratico Marco Tornatore ha inflitto un anno di reclusione per atti persecutori. L’uomo era stato denunciato dalla ex compagna, una valdostana con cui ha avuto una figlia. Il processo si è tenuto nella mattinata di oggi, lunedì 3 giugno, al Tribunale di Aosta.
Secondo quanto emerso dal dibattimento, l’imputato avrebbe insultato, minacciato (anche con messaggi e telefonate) e pedinato la donna e il suo nuovo fidanzato, poi divenuto marito. “Lei e lui hanno dovuto tenere nascosta la relazione e hanno avuto paura”, ha detto il pubblico ministero Carlo Introvigne nella requisitoria, invocando i dodici mesi di carcere poi applicati dal giudice.
L’accusato era stato sottoposto, in passato, ad un periodo di detenzione domiciliare per il possesso illegittimo di un’arma e risulta anche già essere stato condannato in via definitiva per lo stalking alla “ex”, cui recentemente gli era stato vietato di avvicinarsi. “Condanna penale e misura interdittiva non hanno indotto” la tenuta di un “comportamento corretto”, ha tuttavia sottolineato l’avvocato Carlo Curtaz, attraverso cui la valdostana si è costituita parte civile nel procedimento. Le condotte sarebbero infatti continuate, con “atti che hanno modificato, peggiorato la qualità della vita della coppia”.
Il legale, al riguardo, ha anche citato una frase della testimonianza della vittima, acquisita durante l’inchiesta e ritenuta eloquente dello stato d’animo indotto dalle “intemperanze” dell’imputato: “Non siamo mai usciti insieme con i figli, mai fatto la spesa insieme, mai andati in luoghi pubblici. Mi veniva a trovare quando mia figlia andava a dormire”.
Per la difesa, rappresentata dall’avvocato Federico Parini, i messaggi che hanno spaventato la donna sono legati all’avere “una figlia insieme e il contenuto è informativo. O per sapere come sta la figlia, o perché antecedentemente c’è stata una telefonata e lei non ha risposto. ‘Per favore, rispondi’, magari ripetuto tre volte”. Quanto alle chiamate, “non è minaccioso il contenuto”, anche perché “non provengono molto spesso dall’imputato, ma dalla persona offesa”, che “si premura di registrare”.
Per l’avvocato, “lui vorrebbe sapere come va sua figlia a scuola e si fa inserire nei gruppi Whatsapp. La madre lo fa togliere. Non sono comportamenti dal contenuto minaccioso e sono indotti dal comportamento della madre”. Quanto agli altri gesti che avrebbero allertato l’ex compagna, secondo il difensore “la percezione di questi disturbi è da interpretare. Non si comprende se provengono da situazioni antecedenti a quello che viene contestato ora, o al rapporto difficile fra le parti”.
La sentenza odierna include anche un risarcimento da diecimila euro a favore della parte civile. L’avvocato Curtaz ha, tuttavia, sottolineato come già la precedente condanna avesse stabilito il versamento di 15mila euro, che l’imputato “non ha mai pagato”. Il 43enne era chiamato anche a rispondere della violazione degli obblighi di assistenza familiare, venendo assolto da parte delle contestazioni e ricevendo un’ammenda di 300 euro per alcune mensilità non versate all’ex compagna.