Truffa sui dispositivi anti-Covid, sequestrati 1,1 milioni di euro a due aziende

09 Agosto 2022

Due aziende sono sospettate di truffa aggravata ai danni di diverse strutture sanitarie ed enti ospedalieri di Valle d’Aosta, Piemonte e Sicilia, cui avrebbero fornito nella prima fase dell’emergenza pandemica Covid-19 (quindi tra aprile e novembre 2020) 24.500 mascherine facciali FFP2, 13.980 FFP3 e 70.260 tute protettive, tutte accompagnate da certificazioni di sicurezza falsificate, ovvero rilasciate da enti non abilitati.

Per questo, i finanzieri del Comando provinciale di Ravenna, coordinati dalla sede di Bologna della Procura europea (EPPO), hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo – emesso dal Gip del capoluogo emiliano – per beni dal valore complessivo di oltre 1,1 milioni di euro. In particolare, le Fiamme gialle hanno posto sotto sigilli disponibilità liquide per 640mila euro, nonché un immobile commerciale ed un appartamento di proprietà dell’amministratore, per il restante valore di 504.976 euro.

L’indagine nata da una frode a Parma

Il provvedimento è stato adottato sulla base delle risultanze acquisite nel corso degli approfondimenti eseguiti dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Ravenna, che – indagando sull’illecita importazione di dispositivi protettivi dalla Cina – avevano acquisito numerosi riscontri circa una possibile frode commessa dalle ditte investigate nei confronti dell’azienda ospedaliero-universitaria di Parma. Quest’ultima, all’inizio della pandemia, svolgeva il ruolo di centrale d’acquisto per l’intera struttura sanitaria dell’Emilia Romagna, cui le ditte oggetto delle investigazioni avevano fornito ben 1,4 milioni di mascherine FFP2 prive di idonea certificazione.

Guardia di Finanza

Le aziende nelle altre regioni

Sulla base degli esiti dei primi accertamenti, le attività si sono estese a tutte le altre aziende sanitarie risultate clienti delle stesse imprese nel medesimo periodo. Gli approfondimenti documentali e le testimonianze raccolte hanno infatti permesso di ipotizzare la commissione di diverse altre analoghe condotte (commesse o anche solo tentate) ai danni di aziende sanitarie locali ed enti ospedalieri delle province di Caltanissetta, Catania, Trapani, Aosta e Torino.

La qualità dei dispositivi già contestata

Secondo quanto ricostruito dei finanzieri, i dispositivi venivano accompagnati da certificazioni materialmente falsificate e disconosciute dagli stessi enti certificatori, mentre in altri casi veniva presentata una attestazione inidonea, perché rilasciata da un ente non abilitato.

Nell’inchiesta, poi, è emerso che l’asserita conformità e la capacità protettiva dei dispositivi era stata anche oggetto di contestazione e di lamentele da parte degli stessi operatori sanitari che le utilizzavano e quindi dei responsabili della sicurezza, che ne hanno chiesto il ritiro e la sospensione della fornitura in essere.

Peraltro, fanno sapere dalla Guardia di finanza, anche a fronte delle contestazioni sulla qualità dei prodotti avanzate da alcuni clienti, gli amministratori delle società fornitrici si sono astenuti dal segnalare tali possibili criticità agli altri enti sanitari cui erano stati consegnati dispositivi analoghi, che pertanto in alcuni casi sono stati distribuiti al personale quando già se ne sospettava l’inadeguatezza.

Società “indifese” dalla prevenzione degli illeciti

Entrambe le società coinvolte sono state quindi ritenute responsabili amministrativamente dei reati imputati al loro amministratore, essendo peraltro risultate prive di qualsivoglia modello organizzativo idoneo a prevenire tali condotte illecite.

Un’attività investigativa del genere “testimonia la costante attenzione operativa riposta dalla Guardia di finanza in piena sinergia con la Procura europea, nella tutela della finanza pubblica” ed al fine di “prevenire ogni tipo di frode, che, in casi come questo, non solo provocano ingenti danni economici e ledono la libera concorrenza sui mercati, ma hanno messo a rischio la salute stessa degli operatori sanitari a cui i prodotti erano destinati, peraltro in un periodo di massima emergenza epidemiologica”.

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