Tutti assolti, perché il fatto non sussiste. E’ il primo pomeriggio di oggi, mercoledì 29 novembre, quando, a nome del collegio composto anche dai colleghi Anna Bonfilio e Marco Tornatore, il giudice Massimiliano Scuffi legge la sentenza che chiude il processo di primo grado su un presunto giro di prestiti a tassi da usura. Quattro gli imputati del procedimento: Antonino Verduccio (66 anni, di Taurianova), Loris De Antoni (58, Aosta), Ezio Capello (64, Aosta) e Remo Voyat (53, Fénis, dipendente del Casinò e già finanziere). Per tutti, nella scorsa udienza, tenutasi il 18 ottobre, il pubblico ministero Luca Ceccanti aveva chiesto condanne per un totale che sfiorava i vent’anni di reclusione e superava i quarantamila euro di multa.
Esaurite la requisitoria dell’accusa e le arringhe degli avvocati di parte civile e della difesa di Voyat, stamane è stata la volta dei difensori degli altri tre imputati. Tutti hanno messo nel mirino l’attendibilità delle dichiarazioni rese dall’ex doganiere aostano che aveva denunciato le persone poi chiamate dalla Procura a rispondere dell’accusa di usura e costituitosi, in seguito, parte civile nel procedimento. Secondo l’uomo, che aveva raccontato di aver contratto prestiti in sequenza con gli imputati – con tassi d’interesse, secondo quanto ricostruito dagli imputati, non lontani dal 300% – “prendevo dagli uni, per pagare gli altri. Sono andato avanti fino a dicembre 2015, poi mi sono rivolto alla Guardia di finanza. Non ho più potuto pagare, le cose sono peggiorate ancora”.
“Avevo timore di ritorsioni – era continuato il suo racconto – ed ho pagato queste persone e non i debiti in banca. La finanziaria non ti viene sotto casa”. Parole cui tutti i difensori, più o meno direttamente, hanno fatto riferimento, finendo con l'invocare l’assoluzione per ognuno degli imputati. “Il mio cliente – ha affermato l’avvocato Michela Malerba, che assisteva Verduccio – dovrebbe essere colui di cui il denunciante aveva paura. Nelle telefonate intercettate, in cui la parte civile parlava con un altro imputato, lo prendeva pacificamente in giro”. Un comportamento ritenuto “inconciliabile con la versione proposta in aula”, oltre a “non esserci prova della dazione di denaro” nei confronti dell’ex doganiere.
Anche Claudio Maione, difensore di Loris De Antoni, ha sottolineato un dato ritenuto “inconfutabile”: il denunciante “dice di essersi rivolto al mio cliente perché non riusciva più a pagare gli interessi sui prestiti” contratti con un altro degli imputati. “Poi, però, – ha proseguito l’avvocato, facendo riferimento ad altre parole del teste – dal punto di vista temporale colloca contestualmente i due eventi. Nelle indagini preliminari si adegua alle domande del pubblico ministero, ma in aula dà risposte oscure”. Conclusione, dopo aver ricordato che nel periodo relativo alle contestazioni l’imputato “per 8 mesi è stato a Cuba”: “avete un teste inattendibile”.
Infine, difendendo Ezio Capello, il legale Oliviero Guichardaz ha puntato il dito contro le “denunce calunniose” presentate dall’ex doganiere ed arrivando a individuare uno scopo ben preciso che lo ha spinto a portare la vicenda all’attenzione della Guardia di finanza. “E’ un giocatore. – ha tuonato l’avvocato – Da una parte, non voleva più pagare i debiti che ha e, con l’occorrenza, se poteva guadagnare non guastava neanche, giacché ha presentato una richiesta di risarcimento con cifre campate per aria”. Parole alle quali il legale ha affiancato un’osservazione legata al comportamento della parte civile e valutata eloquente della sua contradditorietà: “prima denuncia l’‘amico per la pelle’” (Capello, ndr), poi – con riferimento alle telefonate in cui il denunciante e l’imputato conversavano normalmente – “fa il ‘doppio gioco’ non dicendogli niente” dell’essere stato dai finanzieri.
Nel chiedere le condanne, il pubblico ministero Ceccanti aveva sostenuto che Capello avesse fatto “sostanzialmente da intermediario” tra l’ex doganiere (“in difficoltà, magari dovute anche al gioco”) e i tre con "disponibilità finanziarie”, due dei quali (De Antoni e Verduccio) con “precedenti per usura”. Per il rappresentante dell’accusa, il “meccanismo usuraio” di cui era rimasto vittima l’aostano poi rivoltosi ai finanzieri, poteva essere schematizzato in: “io ti do l'assegno, che ha solo funzione di garanzia, ma gli interessi te li pago in contanti, per non lasciare tracce”. Una tesi accusatoria non sposata dal collegio giudicante.