“Per quello che vale la mia opinione, al di fuori del mio cliente, io francamente non vedo nulla, in questo processo penale, a carico di nessuno”. Ad esclamarlo, parlando con i cronisti dopo le oltre sei ore dell’udienza preliminare odierna sui finanziamenti regionali al Casinò, è l’avvocato Corrado Bellora, difensore del componente del collegio sindacale della Casa da gioco Fabrizio Brunello, per il quale il pm Eugenia Menichetti ha chiesto cinque anni di reclusione.
Assieme al libero-professionista aostano, alla sbarra ci sono altri sette imputati: due ulteriori revisori dei conti (Jean-Paul Zanini e Laura Filetti), due ex amministratori unici (Lorenzo Sommo e Luca Frigerio) e tre politici (Ego Perron, Mauro Baccega ed Augusto Rollandin, assessori regionali alle finanze nel periodo 2012-2015). Le accuse, mosse a vario titolo, sono di false comunicazioni sociali e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Nella sua arringa, durata circa tre ore, l’avvocato Bellora ritiene “di aver dimostrato che il comportamento del Collegio sindacale era assolutamente corretto”. “Qui non siamo a discutere – ha aggiunto il difensore – se fosse morale, o se fosse opportuno dare, o non dare, soldi al Casinò”, perché “è un giudizio di tipo politico, di cui gli amministratori che hanno fatto queste scelte risponderanno davanti ai loro elettori, davanti alla Corte dei Conti, non lo so davanti a chi”.
“Io – ha proseguito il legale – difendo un tecnico, difendo una persona che aveva il compito di fare il controllo contabile sul bilancio del Casinò. E questa persona ha fatto il suo dovere in una maniera assolutamente corretta e ineccepibile sotto i principi contabili. Poi, l’opportunità o meno di fare determinate scelte non viene fatta dal Collegio sindacale, che si limita a verificare che le poste di bilancio siano correttamente appostate ed è quello che è accaduto”.
Per questo, l’avvocato è convinto che “vadano scisse le varie posizioni, ma non perché io ritenga ci sia una responsabilità di altri”, quanto per la constatazione “che non è l’aula penale, per nessuno, la sede per questo processo”. Il motivo? È tutto nell’impossibilità di “dire che noi, o chiunque altro, ha truffato il Consiglio regionale, quando il Consiglio regionale sapeva benissimo perché dava dei soldi al Casinò, e ha fatto la scelta di farlo” e “non è certamente perché sono stati tratti in inganno che l’hanno finanziato”.
Prima del legale del revisore, l’avvocato Carlo Federico Grosso, secondo componente (con il collega Giorgio Piazzese, intervenuto la scorsa udienza) del team difensivo di Augusto Rollandin, aveva invocato l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” dell’ex presidente della Regione (4 anni ed 8 mesi di carcere, la richiesta del pubblico ministero). “Non c’è nessuno, ma proprio nessuno – ha spiegato dopo due ore di arringa – degli elementi costitutivi della truffa”, di cui è accusato l’esponente unionista: “non gli artifizi e raggiri, non l’induzione in errore, non la disposizione patrimoniale (altrimenti sarebbe stata assunta) e, soprattutto, non il profitto ingiusto del Casinò a danno della Regione”.
L’udienza, dinanzi al Gup Paolo De Paola, era stata aperta dal legale Salvatore Catalano, che rappresenta la Casa da gioco, chiamata in giudizio per la responsabilità amministrativa della “Casinò de la Vallée” (con il pm Menichetti che ha sollecitato, al riguardo, una pena pecuniaria di 500mila euro). “Abbiamo, sostanzialmente, una contestazione secondo cui il modello organizzativo non è idoneo. – ha riassunto ai giornalisti – Allora, io mi chiedo come faccio io a rispondere, con un modello organizzativo che per me è super idoneo, aggiornato al 2016, certificato ISO e con codice etico approvato”.
Oltretutto, è il dubbio esplicitato ad voce alta del legale dell’azienda di Saint-Vincent, “come fai a dirmi che non è idoneo”, quando “chi ha fatto – se ha fatto – qualcosa di irregolare, o comunque penalmente rilevante” sono “organi esterni della società”, cioè “sindaci e amministratori”? Perché “non è che posso rispondere di organi esterni” e, ancora, “parlando dei due amministratori unici” – si è domandato l’avvocato Catalano – “come fanno a rispondere, posto che il capo d’imputazione parla di truffa, con artifici e raggiri”?
La questione, per il legale, è semplice: “se ci sono stati artifici e raggiri, evidentemente il povero amministratore è succube, vittima”. Evidentemente, “posso avere il modello organizzativo perfetto, migliore al mondo, ma se due o tre persone si mettono d’accordo per truffarmi (e me lo dice il capo d’imputazione)…”. A questo punto, sono quattro le parti che devono ancora esporre le loro ragioni al Gup (per gli imputati Baccega, Zanini, Sommo e Filetti): l’udienza riprenderà il 24 ottobre e quella successiva (individuata idealmente come conclusiva) è fissata all’8 novembre. Considerando, però, le eventuali repliche del pm e contro-repliche dei legali, il traguardo sembra meno vicino di quanto pianificato inizialmente.