Unità di crisi, questa sconosciuta: il labirinto della gestione dell’emergenza Covid in Valle

E' l'organo citato in quasi tutti gli atti del Presidente della Regione sulla risposta al nuovo Coronavirus. Abbiamo provato a capire su che basi sia stato attivato e a chiederne alla Regione, con accesso civico, i verbali. Storia di un "viaggio" dalle tante domande e poche risposte.
riunione, incontro, ufficio
Cronaca

Unità di crisi. Un’entità che i valdostani, dall’esplodere della pandemia Covid-19, all’inizio di quest’anno, hanno sentito menzionare sempre più spesso. Parliamo infatti dell’organismo cui si devono le principali decisioni assunte dalle istituzioni regionali durante la fase acuta dell’emergenza sanitaria, sia in senso restrittivo delle libertà individuali, sia di allentamento delle misure di contenimento.

Per limitarsi ad alcuni esempi, “su proposta” o “previo parere favorevole” dell’Unità di crisi – come si legge nelle rispettive ordinanze del Presidente della Regione – si sono chiusi i cantieri e disposto il contrasto alle forme di assembramenti di persone (19 marzo), è stata istituita le “zona rossa” di Pontey (22 marzo) e, vista la discesa della curva del contagio, hanno potuto riprendere le attività agricole negli orti (19 aprile).

Scelte, effettuate con l’obiettivo di tutelare la salute collettiva, che hanno comunque presentato un impatto non indifferente sulla vita dei valdostani e sull’economia della regione. Scelte delle quali – vista la loro finalità (e senza dimenticare che, in quei mesi, al nuovo Coronavirus le autorità hanno ricondotto 146 decessi) – sarebbe sbagliato dubitare a priori, ma che in una democrazia lontana dall’assetto nordcoreano debbono poter essere valutate, in particolare da chi fa informazione.

Con un duplice obiettivo: se l’efficacia di quelle decisioni nel trarre la Valle fuori dal pantano del Sars-Cov2 è stata reale, riconoscerlo e dirsi che la nostra regione è stata culla di un modello utile per il riproporsi di scenari del genere (cosa che, peraltro, sta accadendo proprio in questi giorni), mentre se emergessero criticità, chiederne conto alla classe politica e dirigente, che quei passi ha promosso e attuato.

Unità di crisi, perché?

Per un’analisi indipendente, occorre però disporre di alcuni elementi. A partire dalla domanda: perché e su quali basi giuridiche un’Unità di crisi? Chi scrive ha cercato una risposta attraverso le fonti cui tutti i cittadini possono accedere, perché a disciplinare il funzionamento di un’amministrazione sono norme e procedure (che debbono essere universalmente comprensibili), ma ogni sforzo – e ce n’è voluto più d’uno – è risultato vano.

Dalle pagine web dedicate alla pianificazione regionale dell’emergenza risulta che la Regione dispone di un “Piano pandemico operativo”, approvato nel luglio 2009. Oltre a risalire a 11 anni fa, non è pubblicato per la consultazione. Arrivando comunque ad una copia, si scopre che non contempla alcuna Unità di crisi, non stabilita nemmeno dal “Piano regionale di protezione civile”, che è invece scaricabile dal web.

L’unica previsione specifica di tale organismo, si scopre, è nel “Piano generale di gestione delle crisi epidemiche, non epidemiche e nel settore degli alimenti e dei mangimi” (ultima versione dell’ottobre 2013), anch’esso indisponibile in rete. Non si riesce pertanto a dire di più, se non che, stando al suo titolo, il documento parrebbe incentrato principalmente sulle emergenze – anche epidemiche – di origine animale.

Riconoscere se l’amministrazione abbia fatto ricorso allo strumento di gestione normativamente corretto rispetto all’emergenza che si stava manifestando è, nei fatti, missione impossibile. Peraltro, neanche l’atto con cui l’Unità di crisi è stata attivata – una lettera del 31 gennaio scorso del dirigente della struttura Igiene e sanità pubblica e veterinaria dell’Assessorato alla Sanità Mauro Ruffier, inviata ai vertici dell’Usl, ai responsabili di nove strutture dell’azienda sanitaria, al Capo della protezione civile regionale e alla Presidenza della Giunta – dirime il dubbio, limitandosi a convocare la prima riunione per il 3 febbraio, senza indicare ai sensi di quale norma o piano.

I verbali? No, le “sintesi”

Posta l’incomprensibilità del perché l’Unità di crisi sia arrivata a costituire la “prima linea” della Regione contro il Covid-19, il tentativo successivo, alla luce del ricorrere di questo organismo (e con un peso decisionale elevato) nelle ordinanze del Presidente della Regione, è stato cercare di conoscerne i dettagli dell’operato, scegliendo – come già fatto per i dati sul contagio Covid-19 – lo strumento dell’accesso civico generalizzato (il “Freedom of Information Act” italiano) per interloquire con piazza Deffeyes.

L’istanza mirata ad ottenere “copia dei verbali delle riunioni tenute dall’Unità di Crisi” dal giorno della sua attivazione alla metà di agosto (periodo dell’istanza) ha ricevuto, però, un diniego. È stato motivato con il fatto che “i documenti richiesti sono meri resoconti o relazioni di sintesi dei momenti di confronto avvenuti nell’ambito dell’Unità di crisi, funzionali al tracciamento dei lavori della stessa” e siccome, “per loro natura, non esprimono attività di gestione dell’amministrazione”, sono considerati dalla Regione esclusi dagli atti accessibili alla comunità.

Pandemia? Non solo…

Al di là delle perplessità sulla risposta (è accettabile, da un ente pubblico, una semplice “tracciatura” dell’attività di un organismo su cui si è basata interamente la risposta ad un problema senza eguali dal dopoguerra?), Aostasera.it è comunque riuscita a leggere una dozzina di quei documenti, relativi al periodo dal 3 febbraio al 28 aprile. Oltre a raccontare “dall’interno” le difficoltà nella lotta al virus già emerse all’epoca (dalla problematicità nel tamponamento dei pazienti che crescevano a vista d’occhio, a quelle del riassetto ospedaliero per accogliere malati a decine, passando per le strutture territoriali in sofferenza), restituiscono più di un passaggio in cui i temi sul tappeto non appaiono esattamente legati all’interesse collettivo, elemento che aiuta a capire perché piazza Deffeyes preferisca ritenerle semplici “relazioni” che non la impegnano.

È il caso, tra l’altro, della riunione del 4 marzo, in cui un coordinatore dell’amministrazione chiede, “per conto dell’Assessore, se ci saranno delle limitazioni allo svolgimento dei comizi politici” (il rinvio delle elezioni regionali era ancora da venire). Oppure di quella del 4 aprile, in cui due figure tecniche chiave dell’emergenza “ritengono che per affrontare la fase di programmazione e riorganizzazione dell’ospedale” post prima ondata Covid-19 “sia necessaria e fondamentale la presenza di un commissario dell’azienda Usl per almeno altri 18 mesi, in particolare sarebbe ottimale la nomina dell’attuale commissario che ha vissuto l’emergenza e conosce bene la situazione” (procedura che compete alla Giunta regionale e non a “pezzi” dell’azienda interessata dalla designazione).

Le “proposte” che non ti ho detto

Timori elettorali ed esondazione di prerogative, ma volendo comunque concentrarsi sulla valutazione dell’operato dell’Unità il punto è un altro. Se i documenti sui contenuti delle riunioni – per quanto chiusi dalla dicitura “Sintesi del verbale letta, approvata e sottoscritta” (e con un partecipante convocato “con funzioni di verbalizzante”) – sono, stando alla risposta ufficiale di Palazzo regionale, dei “meri resoconti” riassuntivi, allora in quale forma amministrativa sono codificate e depositate, in versione dettagliata, le “proposte” richiamate nei provvedimenti emanati dal Capo dell’Esecutivo (anche quale incaricato di funzioni prefettizie)? Un interrogativo che si pone anche sul piano giuridico, visto che per la legge un’amministrazione si esprime con atti, i cui presupposti devono essere conoscibili ai loro destinatari, e non tramite i pensieri di chi la rappresenta.

Oltretutto, tra le “relazioni” viste da chi scrive mancava quella sulla riunione del 18 marzo scorso, proprio a ridosso delle ordinanze – sottoscritte dall’allora Presidente Renzo Testolin – sulla “zona rossa” di Pontey e sulle limitazioni agli assembramenti (del 19 e 22 marzo), tra le decisioni più “invasive” di quella fase. Non vi è quindi modo di sapere se l’Unità avesse suggerito soluzioni diverse, o meno, da quelle adottate. Non vi è quindi modo di “misurare” se la reazione alla pandemia delle autorità valdostane si sia rivelata adeguata, o sproporzionata, rispetto ai sacrifici chiesti alla comunità.

Poco dopo essere stato eletto dal Consiglio Valle mercoledì scorso, 21 ottobre, il nuovo presidente della Giunta, Erik Lavevaz, ha espresso la sua predilezione per un “approccio scientifico ai problemi”, fatto di “situazioni da analizzare che portano conseguenze da risolvere come fossero problemi matematici”. Sa quindi bene che questo metodo non produce risultati verificabili se i dati iniziali non sono noti. Perché i valdostani non debbono disporne su decisioni che hanno avuto ripercussioni tutt’altro che indifferenti per loro (che abbiano incontrato il virus, o meno)?

“L’importante – sosteneva Albert Einstein, per rimanere alla fisica e al terreno naturale del Presidente – è non smettere di fare domande”. Un’affermazione che va presa in parola da qualsiasi giornalista, specie su un dossier come Covid-19, anche se non si può non osservare come in essa non si parli affatto di risposte. In questo, c’è da sperare caldamente che Lavevaz abbia la volontà di discostarsi dal padre della teoria della relatività.

0 risposte

  1. Complimenti per l’articolo dettagliato e interessante sulla gestione della pandemia nella nostra regione, con al centro una serie di domande che credo anche molti cittadini si siano fatte in questi mesi.

  2. Conforta verificare che la Testata Aosta Sera si avvale di giornalisti seri e preparati che si pongono domande e aiutano i lettori a porsele, andando al di là della cronaca quotidiana. Renata

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