Finisce con una condanna il processo al 20enne valdostano accusato di stalking nei confronti della sua ex compagna, minorenne all’epoca dei fatti. Alle 13.45 di oggi, venerdì 28 febbraio, il giudice monocratico Marco Tornatore ha letto la sentenza, con cui ha inflitto al ragazzo un anno e sei mesi di reclusione. La sospensione della pena è condizionata al risarcimento, entro tre mesi dall’irrevocabilità del verdetto, dei danni alla ragazza, costituitasi parte civile. Per determinarli occorrerà un giudizio separato, ma il magistrato ha intanto stabilito una provvisionale da 15mila euro.
Nell’udienza odierna, il pm Luca Ceccanti – nel premettere che i fatti “coinvolgono due ragazzi giovani” e che “sicuramente processi come questo non fanno piacere a nessuno”, ma nella convinzione che “quei fatti, sulla base degli elementi emersi, non possano essere messi in discussione” – aveva chiesto una condanna ad un anno e 10 mesi di carcere. “La circostanza che emerge in modo chiaro – ha detto il rappresentante della Procura in aula – è una forte tendenza al possesso da parte dell’imputato. Gelosia? Sicuramente una forte volontà di agire sulla capacità di autodeterminarsi” della persona offesa.
Nel rapporto tra i due, iniziato nell’estate 2022 ed arrivato nell’autunno dell’anno dopo alla fase che culmina nella denuncia della giovane, “iniziano gli insulti, – ricostruisce Ceccanti – viene manifestata in più occasioni l’indole possessiva, l’indole violenta. In più occasioni si pretende che la ragazza, che ovviamente si intende cosa sua, non frequenti determinate persone, non tenga alcuni comportamenti”.
Condotte che la giovane “racconta alle amiche”, senza “esagerare in alcun modo”. Al novembre 2023, nel momento di massima difficoltà per la ragazza, risale, nella ricostruzione accusatoria, la frase – rivoltale dell’imputato – “ti faccio fare la fine di quella là”, in evidente riferimento al caso di cronaca di Giulia Cecchettin, di quei giorni. Secondo quanto emerso, l’imputato la avrebbe pronunciata in un “appostamento” per strada, mirato ad incontrare e parlare con la ragazza.
La legale di parte civile della giovane, l’avvocata Dayana Bona del foro di Bergamo, ha ricordato come la giurisprudenza consolidata affermi la sussistenza dello stalking “in presenza di soli due episodi” di atti persecutori, per cui “basterebbe quello che è accaduto nel 2022” per ritenere il reato integrato. La difesa dell’imputato, rappresentato dal legale Roberto Brizio di Torino, ha puntato anzitutto sulla contestualizzazione dei fatti.
“Viviamo in un tempo difficile – ha premesso – e in questo tempo difficile gli adolescenti presentano particolarità che non possiamo non considerare e che sarebbe sbagliato considerare a senso unico”. Da qui, la “preghiera laica” del difensore: “cerchiamo di liberarci dai pregiudizi, dagli stereotipi”, onde evitare di inserire la vicenda specifica “in un fenomeno molto ricorrente e molto grave. Quello di relazioni di genere intossicate, prevaricanti”.
Dopodiché, l’osservazione che il telefono del ragazzo sovente (compreso il giorno dell’episodio che ha spinto lei alla denuncia) non ha agganciato le celle dei luoghi di scuola o di vita della giovane. Eppure, dagli approfondimenti disposti dal Tribunale, “è un dato che” sia lui, sia la persona offesa, “siano più connessi che non. Ci sono connessioni che durano notti intere, da una parte e dall’altra”. Per questo, per l’avvocato, non è pensabile che il giovane abbia potuto affrontare spostamenti senza portarsi dietro il telefono.
Altro elemento valorizzato dalla difesa, con riferimento anche ai testimoni sentiti nel processo: “mai nessuno vede l’imputato. Tutti vedono il disagio della persona offesa, la paura, ma nessuno vede l’imputato. Il problema è se quel disagio è stato generato dall’imputato”. Addirittura, osserva il difensore, prima di chiedere l’assoluzione per il suo assistito, dai monitoraggi emergono episodi in cui il ragazzo blocca sui social la sua presunta vittima, in una dinamica che spinge l’avvocato a dire: “non sapevo che funzionasse così”.
Elementi che, però, non hanno convinto il giudice. Le motivazioni della sentenza, che permetteranno di comprendere le ragioni della condanna e consentiranno alla difesa il ricorso in appello annunciato sin d’ora, sono attese entro 50 giorni da oggi. Nel sentenziare, è stata disposta la revoca della misura cautelare nei confronti del ragazzo (il divieto di dimora ad Aosta e di avvicinamento alla persona offesa, con braccialetto elettronico).
“Non l’ho minacciata”: al processo per stalking all’ex compagna parla l’imputato
14 Febbraio 2025 – Ore 15.53
Un’ora di interrogatorio, nel giorno del suo ventesimo compleanno, per ripercorrere quella relazione in cui “è capitato che litigassimo molte volte”, ma “non l’ho mai minacciata”, men che meno di morte. E’ arrivato oggi, venerdì 14 febbraio, all’esame dell’imputato, il processo a un giovane valdostano accusato di stalking nei confronti della sua ex compagna. Tra le accuse rivoltegli, quella di averle rivolto la frase “ti faccio fare la fine di quella là”, in relazione all’omicidio di Giulia Cecchettin, quando la giovane era ancora minorenne.
Il ragazzo, dinanzi al giudice monocratico Marco Tornatore, ha spiegato che la relazione era cominciata nell’estate 2022 ed è finita a dicembre dello stesso anno, dopo che il padre di lei “mi ha chiesto gentilmente di lasciarla stare, dopo una litigata”. Nel periodo di frequentazione, “ci siamo visti una volta sola fuori dalla nostra scuola”, attorno al settembre 2022, poi “ci sentivamo più online che dal vivo”, con messaggi e lunghe telefonate, anche a notte fonda.
Il rapporto, ha detto l’imputato, era caratterizzato dal fatto che “litigavamo abbastanza. Almeno 1-2 volte a settimana”, per “gelosia, o per altre cose, che non erano troppo importanti”. Per il ragazzo, è accaduto che “le ho scritto delle parole brutte, di cui mi pento e chiedo scusa”. In generale, ho “dato poco peso alle cose che scrivevo”, tanto che alcune “neanche le pensavo”.
Rispondendo alle domande del suo difensore, l’avvocato Roberto Brizio di Torino, che ha evocato le paure – denunciate dalla ragazza – che lui potesse aspettarla fuori da scuola, l’imputato ha escluso di averla minacciata di qualcosa del genere, ma anche di esserci andato. Escluso anche qualsiasi tipo di violenza, perché “ci siamo visti una volta sola”, tutto il tempo in compagnia di un altro amico. Oltretutto, “prima della denuncia, non sapevo nemmeno dove fosse” il comune in cui lei viveva, “sono andato a guardare dopo”.
Il difensore di parte civile, l’avvocata Anna Ventriglia, ha quindi contestato al ragazzo, riprendendole da alcune trascrizioni, l’uso di espressioni come “ti prendo a schiaffi, ti faccio piangere” o “non ti azzardare, ti vengo davvero a prendere”. Lui ha risposto che “molte frasi”, di quelle viste nelle chat, “non sono sicuro di averle mai scritte” e “di quelle che ho scritto, comunque, eravamo in un contesto specifico in cui entrambi ci dicevamo cose pesanti. Per quello che ho scritto io mi dispiaccio”.
Il ragazzo era stato arrestato per stalking il 24 novembre 2023. Le indagini dei Carabinieri erano state coordinate dal pm Manlio D’Ambrosi. Il 20enne aveva potuto lasciare il carcere il 5 dicembre 2023, ottenuti gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. Attualmente, le misure cautelari cui è sottoposto sono il divieto di dimora ad Aosta e di avvicinamento alla persona offesa. Il processo è stato rinviato al prossimo 28 febbraio, data in cui, dopo la discussione delle parti, è attesa la sentenza.
Stalking all’ex fidanzata, la Procura chiede di processare 18enne
28 marzo 2024 – Ore 16.55
La Procura ha chiesto il processo per il 18enne che, lo scorso novembre, era stato arrestato per stalking nei confronti della ex fidanzata. La richiesta di rinvio a giudizio è stata depositata dal pm Manlio D’Ambrosi: sta ora al Gup del Tribunale fissare l’udienza preliminare del procedimento.
Tra le contestazioni mosse al giovane dagli inquirenti (ad indagare erano stati i Carabinieri), c’è di aver minacciato la ragazza con la frase “Ti faccio fare la fine di quella là”, riferimento all’omicidio di Giulia Cecchettin, caso di cronaca che era su tutte le prime pagine in quei giorni dello scorso novembre, quando il ragazzo finì in manette.
Dopo alcuni giorni in carcere, al giovane il Gip Davide Paladino aveva concesso i domiciliari con braccialetto elettronico, accogliendo l’istanza del suo difensore. Il ragazzo, in sede di interrogatorio di garanzia, aveva negato ogni addebito. Ai Carabinieri si erano rivolti, due giorni prima dell’arresto, i genitori della ragazza, dopo aver saputo di quella frase e giudicando che la situazione fosse “divenuta insostenibile”.
I militari avevano ricostruito che il rapporto tra i due era iniziato nel settembre 2022. Da subito, tuttavia, lui (all’epoca ancora minorenne) aveva messo in luce un’ossessività, manifestatasi – nell’impostazione accusatoria – in più episodi. Tra questi, l’ottenimento della password della fidanzata, per controllarne i profili social, la rabbia per gesti naturali, come il saluto di lei ad un amico, e l’invio ripetuto di messaggi.
Uno di questi, contenente un epiteto pesante nei confronti della ragazza, era stato notato dalla madre. La donna aveva quindi parlato con la figlia, convincendola ad interrompere quella relazione e non avere più contatti con il ragazzo. Lui, nella ricostruzione inquirente, non aveva però smesso di scriverle e di seguirla davanti alla scuola, o di appostarsi alla fermata dell’autobus.
Lei era rimasta ferma sull’evitare contatti, ma dopo l’incontro in strada e quella frase, la giovane spaventata aveva parlato nuovamente con la madre, dialogo culminato nella scelta di rivolgersi ai Carabinieri. Da lì, le prime indagini e la misura cautelare, con le accuse respinte dal 18enne. Ora, la richiesta di processo, che dovrà definire la situazione.
18 risposte
Spero che i genitori del ragazzo diano a sveglia a questo fenomeno, però ho paura che non succederà visto che i genitori odierni son usi a dar sempre ragione ai propri figli incondizionatamente e questi son i risultati (forse). Siam nel campo delle ipotesi.
Caro Andrea mi sembra non si sforzi abbastanza..! O forse non sa interpretare correttamente un testo. Rilegga il mio commento e vedrà una bella argomentazione sulla forma dei suoi interventi a cui non ha ancora risposto se non insultando o divagando. Lo rilegga con attenzione e si sforzi di capirlo.
Puó farcela e risponda nel merito.
Cordialmente
Sicuro? Bella argomentazione? Sicuro? Si curi.
Senza la minima cordialità fasulla come la sua.
Giustamente dice che non c’è nulla di vergognoso ad essere la vittima, ma la realtà ci dice che è vero solo in teoria, tant’è che ci sono donne che trovano il coraggio di denunciare solo dopo mesi. Essere additata in ogni contesto della propria vita quotidiana come quella che è stata mostrata vuol dire rivivere continuamente un incubo e non poter ripartire.
Forse non ci siam capiti, mostrare generalità carnefice, massima riservarezza per vittima di minacce o stalking. Mi pare ovvio. Ovvio che a denunciare ci vuole un certo coraggio ma non vi è alternativa reale, in questo caso ci han pensato i genitori, vista la giovane età.
Indicare le generalità del reo ( presunto tale fino a condanna definitiva, come afferma la nostra Costituzione) non apporta alcun beneficio alla comunità ma non fa che alimentare una morbosa pruderie che caratterizza un ambiente provinciale come il nostro.
Magari evita che qualcun’altra malcapitata si faccia avvicinare da costoro, se li conosci li eviti. La vergogna pubblica è deterrente migliore del carcere, forse, dove questo si trova attualmente. Le pruderie valgon solo per questi casi? in altri si dice peccato e peccatore.
Continuo a non comprendere il perchè di questo trattamento di favore.
In casi non conclamati come questo si sbatte il mostro in prima pagina, parafrasando un film famoso con tanto di foto e poi si fa la rettifica con un trafiletto, qyuand si scopre che era innocente.
In medio stat virtus, magari.
In questi giorni abbiam visto, anzi son anni che vediamo, ben prima del processo, foto abbondanti e generalità di un cittadino che ha messo a casa sua un cancello che richiama l’ideologia nazista. Tanto per fare un esempio tra i tanti. Quindi due pesi e due misure?
Notizia fresca segno di una subcultura maschilista e patriarcale dura a morire:
“Sarà processato per lesioni aggravate l’uomo che a Portogruaro ha aggredito la moglie, colpevole di difendere Giulia Cecchettin. L’aggressione – raccontata dal Corriere del Veneto – è avvenuta giovedì 23 novembre, all’ora di cena. L’uomo ha commentato un servizio del telegiornale sulla ragazza assassinata nei giorni scorsi: “Chissà cosa aveva combinato per farsi ammazzare…”, ha detto. La moglie lo ha giustamente rimproverato: “Ma cosa stai dicendo? Parli come un criminale”. A quel punto è scattato l’assalto: l’uomo ha sferrato un pugno allo stomaco della donna e ha tentato di accoltellarla, procurandole per fortuna solo delle ferite superficiali.
Diceva Voltaire che la civiltà di un Paese si misura dalle sue carceri. Ovvero da come tratta coloro che, colpevoli di qualche reato, sono sottoposti a giudizio o alla privazione della propria libertà. Se lei vuole il far west o la legge del taglione deve rivolgersi rispettivamente più a ovest o ad est della nostra longitudine
Mica son per le carceri lager, anzi tutt’altro, Lei mi mette in bocca parole non mie per contestarle.
E’ indispensabile la certezza della pena e la deterrenza che vanno di pari passo, se un condannato per femminicidio magari premeditato, esce come accade in Italia dopo 5 o 6 anni, non vi è deterrenza e costui può continuare a delinquere trovando altre vittime.
In questo Paese vi è troppa tutela per chi delinque tutela che è del tutto carente per le vittime, una malintesa lettura del Beccaria.
Anche qui si vede come si tutela la privacy dei carnefici a scapito della pubblica utilità.
Vorrei vedere se Lei avesse una figlia ammazzata da questi subumani vergogna dell’umanità e del nostro sesso se sarebbe contento che l’omicida sconti solo 5 anni per tornare libero e magari colpirne altre come è già successo. Non lo sarebbe sicuramente. Basta mettersi nei panni di chi subisce il danno, non in quella di chi lo compie, personalmente sto sempre dalla patrte dei deboli e di chi viene colpito ingiustamente.
Lo ribadisco, non si capisce come mai si tutela la privacy di questi delinquenti quando in altri ambiti non ci si fa certo scrupoli di svelare le generalità di inquisiti e ben prima della condanna. E’ un servizio a tutela della comunità tra l’altro.
Troppo garantismo per i delinquenti e troppe poche tutele per le vittime ,attuali o potenziali.
Oltretutto il pubblico ludibrio servierebbe da deterrente.
Perché in questi casi equivale a sbandierare pure il nome della vittima. è un concetto semplice…
Non è così, affatto, sapientino, vorrei capire se dipende dalle forze dell’ordine o dai media questa condotta omertosa, penso i primi. Il nome della vittima lo potranno sapere solo pochi e in ogni caso non vi è nulla di cui vergognarsi per le vittime mentre vi è molto da vergognarsi per i carnefici.
I NOMI! Omertà omertà omertà
Omertù è complicità
Invece é come scrive Matteo, sapientino!
Spiegami come suo supporter se hai un minimo di argomentazioni e non credo proprio, son tutto orecchi.
Se non lo capisce si informi invece di sbandierare la sua ignoranza in pubblico. Chiedere ad altri di argomentare il contrario di quello che afferma, dopo che i suoi interventi non contengono alcuna argomentazione fattuale ma solo pensieri personali basati sul nulla… è patetico.
Quando non si hanno argomenti si insulta, my compliments, naturalmente è ironico, per lei devo tradurre. Il nulla che posta niente.
Stef ano, imformami te, son sicuro che sei informatissimo, sbandiera la tua conoscenza senza pudori, così mi faccio una risata.
Anyway rido lo stesso.