“Accanto alla tigre”, la storia maledetta di Alessandro Pavolini raccontata dal nipote

Lorenzo Pavolini ha presentato il suo libro nell'ambito della rassegna Babel. Dal suo racconto emerge un personaggio dalle mille sfaccettature, un brutale squadrista e un raffinato giornalista, su cui pesa la condanna della storia.
Lorenzo Pavolini
Cultura

"Chi è stato squadrista una volta, lo è per sempre". Parola di Alessandro Pavolini, squadrista della prima ora, fondatore delle famigerate Brigate nere, responsabili di atrocità inimmaginabili ai danni della popolazione civile, catturato, fucilato e appeso a testa in giù accanto al corpo di Mussolini. Alessandro Pavolini fu questo, ma anche altro: intellettuale colto e brillante, giornalista e scrittore, fu lui a istituire il maggio fiorentino.

L'impossibilità di conciliare i suoi due volti, quello brutale e quello borghese e presentabile, desta perplessità in chiunque si soffermi sulla sua figura, tutt'ora osannata dai nostalgici dello squadrismo e della repubblica di Salò. A maggior ragione chi, come Lorenzo Pavolini, è parente del "Goebbels italiano", fatica a racchiuderlo in una sola definizione. Nel suo romanzo autobiografico "Accanto alla tigre", presentato ad Aosta, in piazza Chanoux, nell'ambito della rassegna Babel, Lorenzo Pavolini racconta come ha scoperto la verità sul proprio nonno: "A 12 anni, sfogliando un testo scolastico, ho visto le foto dei cadaveri appesi a piazzale Loreto. Uno di loro portava il nome di mio nonno. Fino ad allora avevo pensato che fosse un semplice soldato, morto durante la seconda guerra mondiale, forse un aviatore. Molti anni dopo mi sono posto molte domande a suo riguardo. Non ne sapevo più di chiunque altro, il fatto di essere nipote di qualcuno non costituisce, infatti, un accesso privilegiato alla comprensione del personaggio. E così, lentamente, faticosamente, ho cercato di indagare la sua personalità, la sua vita, la sua storia".

Ne esce un ritratto incompiuto, irrisolto, parte in luce e parte in ombra, e non può essere altrimenti. Qualsiasi vita contiene in sé un fondo inafferrabile, un nucleo intangibile che sfugge alla comprensione intellettuale, ma anche a quella emotiva. Alessandro Pavolini piegò la raffinatezza del proprio pensiero alla più grossolana retorica fascista, incarnando pienamente, fino alle più estreme e brutali conseguenze, il prototipo dell'uomo nuovo mussoliniano, granitico interprete delle manie di grandezza del ventennio.

Il libro di Lorenzo Pavolini mantiene intatto lo stupore per una parabola esistenziale troncata a metà, divorata dalla propria stessa violenza. La storia dello squadrista Pavolini è anche quella di un'intera famiglia, alle prese con un dramma mai completamente elaborato. "Ascolto volentieri la storia della lotta partigiana, è una narrazione che crea convivialità e unione, basta pensare agli spettacoli di Ascanio Celestini" ha concluso Lorenzo Pavolini, presentando il volume. "Purtroppo ci sono capitoli della nostra storia molto più bui, eppure vanno raccontati".

 

 

 

 

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