In una regione dai numeri che costringono a un pubblico fatto per lo più di parenti, amici e colleghi (in grado di convincerti che sei Joe Satriani anche quando suoni una chitarra senza corde), non molti sono i gruppi rock locali che hanno catalizzato attenzioni fuori dai confini della Valle. Tra questi – con esperienze come le partecipazioni a Rock Targato Italia, Musicultura e Sanremo Rocks, oltre all’apertura di un concerto dei Marlene Kuntz – ci sono i Minimo Vitale.
La sensazione, dopo aver visto lo spettacolo proposto dalla band sabato scorso, 15 febbraio, nell’ambito della Saison Culturelle, è che tali attenzioni siano, non solo ben riposte, ma in grado di potenzialmente aumentare. La storia del gruppo è nota: nato come cover band dei Massimo Volume, il quintetto di artisti “nella seconda età adulta” fa sue le parole di Giovannino Guareschi (“aggrapparsi alla realtà con i nostri sogni, per non dimenticarci di essere vivi”) e trova un percorso autonomo, iniziando a comporre brani inediti.
Per carità, le radici non sono dimenticate (sul palco dello Splendor si sente anche “La Città Morta” e perfino troppo facile è, per il frontman Alberto Neri, il parallelismo con Aosta), ma nel dare voce agli incubi e ai sogni di una generazione alle prese con un tempo difficile hanno preso forma brani intrisi di quell’angoscia, che si fa mano tesa all’ascoltatore, in cui ha intinto la penna buona parte della scena indie italiana. Vedi, tra le altre, “Blu Pec”, “Sala d’attesa” e “Nessuna protezione”, arrivate nelle prime battute dello show di sabato.
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Minimo Vitale live in Splendor, Foto Christian Diemoz.
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Minimo Vitale live in Splendor Foto Max Riccio
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Minimo Vitale live in Splendor Foto Max Riccio
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Minimo Vitale live in Splendor, Foto Christian Diemoz.
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Minimo Vitale live in Splendor, Foto Christian Diemoz.
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Minimo Vitale live in Splendor Foto Max Riccio
Il dato è però, prima di tutto, che “Aggrappati al Minimo Vitale” – questo il nome dello spettacolo (per la regia di Enrico Montrosset) – aggiunge una dimensione a quella sonora. Lo fa grazie alle immagini, proiettate su una rete trasparente tra band e pubblico, del Silent Media Lab di “Lotto” Andrea Carlotto (e ai disegni realizzati dal vivo da Michel David Bovo). Una soluzione scenica che, notata la separazione una volta nel teatro, pare allontanare il gruppo da chi segue il concerto, ma in realtà aumenta l’impatto della produzione.
Una soluzione che, oltretutto, sostiene la presenza scenica dal profilo meno flamboyant di un tempo di Neri (“Time Waits For No One”, cantavano gli Stones, però va detto che lui vi fa fronte con mestiere), ma non è la sola novità dello show. Sul piano musicale, oltre alla solidità di Josy Brazzale e Luca Consonni (chitarre), di Davide Torrione (basso) e di Alessandro Longo (batteria e elettronica, a cui si è seduto anche l’ex Giuliano Danieli), rileva l’inserimento del Coro Penne Nere, diretto da Fabrizio Engaz, su alcuni pezzi.
Parliamo, in particolare, di “Una prodezza al giorno”, che assume – con le voci dei coristi della formazione in attività da una cosa come 67 anni – i connotati dei Carmina Burana, tra musica e atmosfere solenni. L’altro momento alto della serata mette l’accento (perché se sono tempi difficili per essere vivi, una bussola è basilare per navigarvi attraverso) sulla Resistenza. La apre la voce di Giada Cognein, che interpreta i pensieri e le parole del padre costituente Piero Calamandrei.
Sono quelle per cui “la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”. Segue “La casta”, mentre sullo schermo scorrono immagini delle Teche Rai sulla lotta di Liberazione in Valle d’Aosta e Neri conclude con “Non dimentichiamoci mai quello che è stato fatto 80 anni fa. Mai”. Nella visione del gruppo, i partigiani hanno affrontato un ostacolo apparentemente insormontabile con la loro inventiva, dovere che, oggi, riguarda ognuno di noi. Difficile non essere d’accordo.
Altre istantanee dell’immaginario collettivo dei Minimo Vitale arrivano poi dall’osservazione quotidiana di Aosta e dei suoi personaggi, esercizio che ha dato vita a “Thierry”, personaggio di cui il frontman ricorda gli incontri, in piazza Roncas, con “spolverino e barboncino bianco”. Con all’attivo un album nel 2022, nell’ora e mezza di esibizione, il gruppo ha offerto anche un anticipo di un possibile futuro. E’ l’inedito “Pugile Suonato”, in cui spiccano venature elettro assenti agli esordi, ma mai pacchiane. Gran finale, con il gruppo richiamato a voce sul palco (compresa la violinista ospite Flavia Simonetti), per “Cabine Telefoniche Dismesse”, il pezzo da cui tutto iniziò. Nell’insieme, uno show che sta stretto tra i confini della Valle. Decisamente.