C’è la Valle d’Aosta al centro de “La fune d’acciaio”, l’ultimo romanzo, pubblicato da Einaudi Ragazzi, scritto da Katja Centomo, aostana classe ’71, alla guida della Red Whale, studio che offre contenuti e servizi editoriali e curatrice di sceneggiature di serie di animazione e creatrice prolifica di personaggi per fumetti e cartoni animati.
La storia si concentra sul villaggio di Baravex, un luogo in cui ormai non c’è più nessuno, mentre alla fine della Seconda guerra mondiale brulicava di bambini e famiglie che cooperavano per sopravvivere, sfruttando tutto ciò che la montagna era in grado di offrire.
Oggi, invece, non è che un insieme disabitato di ruderi, l’ideale per un campeggio avventuroso per i tre cugini Elena, Gabriele e Leo, che ogni anno trascorrono le vacanze con i nonni nel vicino villaggio montano. Circondati dalle foreste di larici, il silenzio è disturbato unicamente dal rumore del torrente. A ricordare quel passato è rimasta soltanto l’antica fune d’acciaio per il trasporto della legna, attrazione irresistibile per i tre ragazzi, che nonostante gli ammonimenti della nonna faticano a restarne alla larga. Sono più di settant’anni che sul cavo teso nel vuoto pesa il carico di una storia terribile. Ma dopo aver osservato per alcuni giorni i movimenti dei ragazzi, un insolito testimone decide di parlare.
Dopo La strada per Pont Gun e In fondo al crepaccio – Cronaca di un soccorso impossibile, entrambi pubblicati con Einaudi Ragazzi, sono ancora le montagne le protagoniste del romanzo di Katja Centomo. E l’ispirazione fantastica si intreccia e prende forma con il racconto di fatti realmente accaduti, trasmessi in codice Morse da un misterioso bambino attraverso il cavo della fune. Luoghi e personaggi della Valle di Saint-Barthélemy si ricompongono attraverso il ricordo di chi ha trascorso lassù gli anni della guerra, della sopravvivenza e della lotta partigiana, regalando uno scorcio inedito di ciò che significava essere bambini nel 1945 a 2.000 metri di quota.