L’arte valdostana assalta il Castello Gamba e lo veste di poesia

23 Ottobre 2020

Un vestito con tanto di cappotto, scarpe e cerniera. 14 artisti valdostani hanno “vestito” il Castello Gamba e le loro creazioni rimarranno tra le stanze del prestigioso museo fino al 29 novembre.

Il viaggio nella contemporaneità dell’arte valdostana inizia con Jean-Claude Oberto e la sua installazione “En tant qui rimailleurs”, un QR code che riesce a collocare la poesia, esempio supremo di linguaggio, nella sfera visuale e multimediale e prepara il visitatore al viaggio nel corpo del maniero e nella dimensione più duttile dell’arte contemporanea valdostana.

Chicco Margaroli

Nel castello il dialogo tra la storia dell’arte e la sua interpretazione più dinamica e moderna si completa e si realizza attraverso nomi come quello di Patrick Passuello e la sua installazione che esplora la profondità dei pavimenti dell’edificio, attraverso un formato, quello composto da esagoni e pentagoni, che richiama la struttura molecolare della chimica, poiché, come lui stesso spiega, “la pittura è chimica e volevo anche qualcosa che desse l’impressione di essere vivo, di andare appunto ad assaltare il luogo in cui ci troviamo”. A dialogare con una delle opere d’arte più forti de Gamba è Massimo Sacchetti che lascia che le sue opere trovino lo spazio attraverso la connessione con l’Ercole di Arturo Martini, in quella che lui definisce “comprensione di cosa possa essere l’arte e della sua missione, ovvero quella di resistere al tempo e al visitatore che vede in lei quello che più gli va”, in un gioco continuo di proiezioni e interpretazioni.

Pasqualino Fracasso

A portare la sua dimensione più intima è Barbara Tutino, già presente nella collezione stabile del Gamba, che dispone di una sala dove è stato ricostruito il suo atelier e due delle sue tre opere, tutte ispirate alla libertà, trovano posto collocandosi esattamente dove sarebbero posizionate in casa: “La libertà per me è un concetto molto importante e lo rappresento mettendolo in relazione con l’uomo, ma non solo, è qualcosa che va oltre, qualcosa che posso ritrovare in diversi ambiti e luoghi. Uso una lamiera di ferro, materiale di riutilizzo, che mi permette anche di lavorare su luci, ombre e ondulazioni della materia”.

A rimettere l’acquarello e la sua versatilità in centro al discorso artistico ci pensa Pasqualino Fracasso che dopo un attento studio del museo e delle opere della collezione permanente ha deciso di portare il dialogo oltre, a un livello che gli permette di “oscurare” alcuni dipinti sovrapponendone uno suo perché il dialogo arrivi da un dettaglio, da una somiglianza o dalla voglia di ripartire da capo con una tela nuova e totalmente diversa, sempre in bilico tra differenze e somiglianze e sempre mettendo la tecnica al centro e restituendo all’acquarello una dignità e una centralità assolute.

Massimo Sacchetti

Marco Jaccond riesce nell’ardua impresa di collegare i vari artisti nella scala principale del museo. A lui l’arduo compito di tenere il visitatore ancorato a una dimensione nella dimensione, dove il museo contiene al suo interno una nuova bolla di contemporaneità: le sue carte regalano la leggerezza che aiuta ad accedere al piano superiore dove un duo tutto femminile accoglie e invita a una profonda riflessione.

Marco Bettio e Sarah Ledda

Qui Giuliana Cunéaz presenta la sua installazione 3D di Amabie, figura leggendaria del Giappone che dovrebbe proteggere da pandemie e profetizzare periodi migliori. Un’opera che si collega al suo film “Cercatori di Luce” in programma a Locarno dopo lo stop del 2020 a causa del Covid-19. Accanto all’artista della new media art, Chicco Margaroli presenta un’opera a metà tra il work in progress e l’interattività più esplicita: tanti rettangoli di gelatina, pendenti dal soffitto, fungono da contenitori di fieno e sulla loro parte esterna presentano parole evocative; altrettante sono le parole che i visitatori sono invitati a scrivere e lasciare nei pressi dell’opera, di modo che, una volta terminato tutto quelle parole possano trovare una collocazione e una spiegazione e completare in questo modo il senso dell’installazione. Come sempre la Margaroli cerca di lavorare materie naturali e dare a questo utilizzo un forte senso interrogativo, come accade per il fieno, rappresentante qui dei cambiamenti climatici che stravolgono la natura.

Marina Torchio

Andrea Carlotto invita invece a un “Respiro permeabile”, dove il ghiaccio è protagonista della creazione artistica che nasce davanti agli occhi dei visitatori in suono e immagine, grazie all’autonomia conquistata dall’intelligenza artificiale: nella stanza buia lo spettatore riesce a lasciarsi trasportare da suoni e movimenti talvolta impercettibili e talvolta netti, riportando l’attenzione all’immagine pura.

Prima dello spazio più alto si incontrano ancora Marco Bettio e Sarah Ledda, coppia nella vita, già presenti insieme in diversi spazi collettivi e galleria, ma mai insieme per un dialogo serrato tra le loro opere, dove la ricerca del ritratto diventa negazione dello stesso, in un gioco che vede il primo artista impegnato nel respingimento (e al tempo stesso attrazione), nei confronti di questa forma di pittura, declinata attraverso lo sfondo costante del circo e di quello che gli umani impongono agli animali. Sarah Ledda è invece impegnata nello stesso studio, ma lo porta avanti seguendo lo sviluppo dell’arte cinematografica trasposta in pittura; anche in questo caso il ritratto diventa una non verità, dove un velo di non realismo porta alla negazione del ritratto stesso.

Barbara Tutino

In cima al castello trova posto Riccardo Mantelli insieme a un gps che insegna a perdersi, un Tinder che non permette il match tradizionale, ma soprattutto tanto studio sugli algoritmi che scandiscono e segnano irreparabilmente la nostra vita e che diventano strumento per l’arte. Perché, se l’errore è l’inizio dell’artista, l’algoritmo dall’errore riparte migliorandosi costantemente. Mantelli gioca con il paesaggio valdostano, la traduzione letteraria (digitata anche in maniera sbagliata dal pc, ma che tale deve rimanere per permettere il miglioramento) e l’autonomia del computer. 

Un castello vestito da 14 artisti valdostani merita anche un cappotto di tutto rispetto: è così che Marina Torchio trova casa nel balcone del giardino, con i suoi semi di tulipani, simbolo di uno studio iniziato nel 2014 intorno ai vegetali e che le ha permesso di scoprire quanta forza è contenuta in un semplice seme che ricrea vita a ogni cambio di stato e che non smette mai di ricrearsi e di ridarsi a un nuovo ciclo, metafora di come l’uomo dovrebbe stare al mondo, sempre cercando di ricominciare qualcosa di nuovo e produttivo.

Metamorfosi di De Giorgis

A chiudere il dialogo estremo degli artisti è Daniele De Giorgis, artista che per l’occasione ha avuto l’onore di vedere ristrutturata la fontana del giardino del Gamba, per permettergli di lavorare con l’elemento che preferisce: l’acqua. De Giorgis con la sua “Metamorfosi” crea un dialogo su due livelli che ha sempre come protagonista l’elemento acquatico tanto nella sua forza, come nella sua quiete; i tronchi della sua opera diventano profondità e verticalità insieme, emergendo da uno specchio d’acqua che può essere mite come devastante, in ricordo anche dell’alluvione del 2000 che già era stata oggetto di studio e soggetto di alcune opere dell’artista-sindaco di Lillianes.

Riccardo Mantelli

L’incredibile percorso fatto di riflessioni, studi e dialoghi che ha portato 14 artisti valdostani a ripensare il modo di comunicare delle varie forme d’arte con la storia del Castello Gamba e delle sue opere permanenti, è la sorpresa della stagione autunnale dell’arte valdostana ed è da scoprire fino al 29 novembre.

Maggiori informazioni e prenotazioni online sul sito internet del Castello Gamba.

Un vestito con tanto di cappotto, scarpe e cerniera. 14 artisti valdostani hanno “vestito” il Castello Gamba e le loro creazioni rimarranno tra le stanze del prestigioso museo fino al 29 novembre.

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