Ancora non è uscito nelle sale – in Italia si potrà vedere l’ultimo giorno di febbraio – ma per il regista, Gabriele Salvatores, è già la pellicola della carriera. “E’ il mio primo film in inglese, il primo senza la presenza dei miei amici attori, anzi, non c’è neppure un attore italiano, è certamente il più importante che ho mai fatto dal punto di vista della produzione e dell’impegno artistico, ma soprattutto è il primo, per me, ad assomigliare al cinema che sognavo di fare da ragazzo, quando ho deciso che avrei lavorato in questo ambito”.
Salvatores è venuto a Courmayeur – una toccata e fuga – per presentare il suo ultimo lavoro, “Educazione siberiana”. Assieme a lui anche Nicolai Lilian, autore dell’omonimo bestseller da cui è stato tratto il film, e i due giovani protagonisti, i lituani Arnas Fedaravicius e Vilius Tumalavicius.
L’incontro è stato uno dei momenti culminanti del Courmayeur Noir in Festival, che si tiene questa settimana.
La “tavola” del Jardin de l’Ange è stata imbandita con il trailer e alcuni spezzoni del backstage, ma il piatto forte sono stati proprio gli invitati. Il mondo cupo ma ordinato degli “onesti criminali” del romanzo è stato condensato in una storia che non ha tradito le aspettative dello stesso scrittore, che racconta in perfetto italiano, con un lieve accento russo, il proprio incontro artistico con il regista: “Ero tornato dal servizio militare, e stavo cercando di capire cos’è la guerra. E’ una cosa che non si può comprendere mentre la si fa, ma solo dopo, a distanza. Un amico mi ha prestato la cassetta di “Mediterraneo”, e anche se in quel film si parlava di una terra lontanissima, ho trovato in quella storia tanta verità, tanta umanità, mi sono commosso, e mi sono segnato il nome del regista sul mio block notes, deciso a vedere gli altri suoi film. Sono felice che successivamente il destino ci abbia uniti”.
Prima del felice incontro Nicolai Lilin aveva rifiutato varie proposte. “Gli altri – ha raccontato – volevano girare un film sulla mafia russa, o avevano in mente qualcosa come “La promessa dell’assassino” di Cronenberg, che non c’entra nulla con il mio messaggio. Invece secondo Salvatores la mia era la storia di come un vecchio mondo viene fatto a pezzi dal nuovo che avanza. Lui ha capito esattamente cosa volevo dire”. Sulle pagine, e sullo schermo, ci sono la sua infanzia e giovinezza, trascorse in un angolo remoto del mondo, dove esiste una concezione speciale di bene e di male. Un universo dominato da regole ferree, da un codice d’onore inflessibile, basato sulla solidarietà assoluta e sull’omertà, dove gli uomini pregano una Madonna armata di pistole.
Salvatores ha accennato ad una lavorazione decisamente impegnativa, anche sul piano fisico. “Il gelo ad un certo punto ha bloccato la telecamera, e ci ha costretti a girare a passo uno, ci sono state scene veramente difficili da filmare, come il bagno nell’acqua ghiacciata, è stata durissima, ho perso 6 kg. Ma la soddisfazione è tanta, tra l’altro non avevo mai avuto l’occasione di girare una rissa, o un fiume in piena che spazza via ogni cosa. Come in "Nirvana", abbiamo dovuto ricreare un mondo, e abbiamo in un certo senso girato un film in costume. Sembra stupido, ma trovare anche solo un pacchetto di sigarette russo anni ’80, per non parlare di auto sovietiche o vestiti, è tutt’altro che semplice. Il cast, poi, è stato eccezionale: anche John Malkovich, che ha portato la sua immensa professionalità sul set”.
Come in altri film del regista italiano, anche qui vengono approfondite tematiche come l’amicizia, la crescita, i buoni e i cattivi maestri che influiscono sul passaggio tra l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. I due protagonisti sono come un’unica persona, finché la diversità delle loro scelte non li allontanerà l’uno dall’altro. Una parabola che nella realtà è avvenuta esattamente al contrario. “Siamo così differenti che non eravamo d’accordo su nulla, e discutevamo in continuazione – ha ammesso Arnas Fedaravicius, riferendosi a Vilius Tumalavicius – ma dopo un anno di lavoro abbiamo finito per diventare amici”.