Stefano Scherma porta “corpi e anime” in mostra a Biella

19 Febbraio 2022

Non solo corpi e anime femminili si trovano in difficoltà quando un male invisibile e letale si impossessa di loro. Anche la controparte maschile cade in questo buco nero e, spesso, è quasi più difficile da decifrare e rendere nota la sua condizione.

A esplorare e tradurre in immagini questo disagio e i copri invisibili che lo albergano è stato il fotografo valdostano Stefano Scherma che, dopo Genova, approda con la sua mostra Body and Soul a Palazzo Ferrero a Biella.

L’idea di rappresentare un disturbo, per lo più legato al mondo delle giovani donne, dal punto di vista del corpo maschile, è stata una decisione abbastanza naturale per Scherma: “In generale nei miei lavori fotografici devo essere animato dalla curiosità per un argomento. Questa curiosità deve essere a sua volta alimentata da alcune caratteristiche tra le quali raccontare storie nascoste o non troppo conosciute, oppure storie di cui si parla a mio modo di vedere in maniera stereotipata, proprio come è accaduto questa volta. La malattia alimentare non é una questione esclusivamente femminile, come veicolato dall’immaginario collettivo, né una questione estetica legata al peso corporeo. E’ una malattia generata da sofferenze profonde che portano a sfogare sul corpo il dolore nascosto”.

Le statistiche italiane legate a questo disturbo lasciano davvero pochi dubbi circa l’importanza di progetti che raccontino questa dimensione: in Italia, soffrono di questo disturbo circa 3,5 milioni di persone, e tra i giovani under 26 è al secondo posto fra le cause di morte dopo gli incidenti stradali, provocando 3500-4000 morti l’anno, più di 10 al giorno.

Body and Soul è un percorso che inizia nel 2019, quando Stefano Scherma decide di voler raccontare la quotidianità dei protagonisti dei suoi scatti. Da lì inizia il suo percorso insieme a loro attraverso la scoperta dei lati più intimi e difficili da esplorare della malattia: “Per arrivare a una situazione di confidenza tale che io sia diventato “parte dell’arredamento”, condizione necessaria per raccontare la quotidianità, ho passato molto tempo assieme a loro. Ad esempio Riccardo, uno dei protagonisti, è di Genova: nell’estate del 2020 mi sono trasferito lì per due mesi per avere anche la possibilità di vivere la stessa atmosfera. Gli altri protagonisti sono di Vercelli, Pavia, Milano Torino, Varese”.

L’approccio di Scherma non si traduce solo in scatti molto forti a livello di impatto e in grado di lasciare una forte traccia sul pubblico, ma anche in un lento approccio con i suoi modelli, un percorso che il fotografo compie con chi diventerà la sua opera e che è fondamentale perché ci sia una narrazione il più possibile sincera e veritiera, senza la sovraesposizione della condizione del dolore che spesso non permette di mettere veramente a nudo la tematica: “Il mio modo approccio per questo tipo di lavoro è lento. L’inizio è fatto di molte parole e di studio. Mi sono documentato molto grazie a letture, partecipazione a webinar sul tema, incontri con specialisti del settore, ma soprattutto sono entrato in punta di piedi e ho iniziato ad ascoltare in punta di piedi le storie dei protagonisti. La macchina fotografica è entrata in azione solo in un secondo momento. Marco, Mattia, Nicholas, Riccardo, Sebastiano hanno a disposizione la propria intimità e raccontando le loro differenti traiettorie. Attraverso lo sguardo di Francesca sto raccontando il ruolo dei familiari delle persone colpite dalla malattia. Ho cercato di coprire un arco. Alcuni dei protagonisti sono guariti, altri sono in fase di transizione e altri stanno ancora affrontando il demone. Nel caso di Francesca ho raccontato la convivenza con il lutto. Le loro biografie quindi sono storie di silenzio, paura e solitudine, ma anche di lotta, speranza e conquista. Un altro punto fermo del mio lavoro è quello di costruire una narrazione delicata. Personalmente mi arrabbio quando vedo le “pubblicità progresso” soprattutto quando riguardano le raccolte fondi, in cui per colpire la sensibilità dello spettatore si punta alla spettacolarizzazione del dolore”.

Oltre a rendere visibile un disturbo e una dimensione reale, Scherma cerca, con le sue opere, di far riflettere l’opinione pubblica e i visitatori su come ci sia una parte di responsabilità nazionale in tutto questo o, per lo meno, nell’invisibilità del problema e nel non riuscire a trovare un modo per assistere in maniera concreta questi giovani; esercizio che il fotografo aveva già fatto con gli scatti molto forti e toccanti, ma al tempo stesso di una rara tenerezza e quotidianità del progetto “Faire Avec”: “Le difficoltà congenite del sistema sanitario nazionale, sono state ulteriormente aggravate da questi ultimi due anni di pandemia; in più le lunghe attese per ottenere una diagnosi, quando si tratta di intervenire con la massima urgenza (anche 8 mesi per un ricovero), il confinamento a problema psichiatrico quando invece si tratta di una malattia più complessa, le difficoltà personali e la paura di uscire allo scoperto da parte di ragazze, ragazzi e rispettive famiglie, aggravano e rischiano di cronicizzare la malattia. A livello istituzionale qualcosa inizia a muoversi: il 21 dicembre 2021 al Senato è stato votato in modo favorevole l’emendamento per cui le Malattie del Comportamento Alimentare sono state ufficialmente riconosciute come malattie a sé stanti all’interno dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza); è stato inoltre istituito un fondo presso il Ministero della Salute con una donazione di25 milioni per il biennio 2022/23“.

La mostra è visitabile da oggi (19 febbraio n.d.r.) e fino al 26 febbraio a Palazzo Ferrero, in corso del Piazzo, 29 a Biella.
Altre info su https://www.informagiovanibiella.it/

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