La montagna non è solamente un colosso di terra, roccia e neve, è anche un universo di storie, un palcoscenico naturale dove va in scena una storia vecchia come il mondo, che racconta di sfide alla sorte, cadute precipitose e insperate risalite.
Chi frequenta la montagna assiduamente, per passione e per lavoro, ha sempre molto da raccontare. Jean Kouchner, giornalista, scrittore e per giunta alpinista, è andato a caccia di storie, le ha raccolte con cura, verificate e infine pubblicate ne “L’odeur de la neige: aventures valdôtaines extraordinaires”, presentato ieri sera in biblioteca. Il libro, patrocinato dal consiglio regionale, e scritto in lingua francese, si concentra su racconti che coinvolgono in prima persona alpinisti e guide valdostani, ma anche non valdostani, purché alle prese con disavventure capitate in Valle d’Aosta.
Sono storie spesso al lieto fine, ma non sempre. Tutte a loro modo sono eccezionali. Kouchner scrive, ad esempio, di Brigitte Djajasmita, alpinista svizzera caduta in un crepaccio nel 1996, e ritrovata viva dopo quattro giorni e mezzo. I compagni credevano fosse tornata indietro, ingannati dalla giubba di un altro scalatore, identica alla sua. Invece lei è rimasta per giorni in fondo a un buco profondo 25 metri, con il bacino fratturato, senza mai cedere al panico. Organizzandosi con cura, si è riparata dal freddo, si è iniettata un antidolorifico, si è mantenuta all’asciutto, ha protetto l’Arva dall’umidità, si è idratata e nutrita regolarmente, e ha atteso con fiducia i soccorsi mentre fuori infuriava la bufera.
Sempre nel 1996 un alpinista ceco, Vilelm Bulk, è sopravvissuto a una scivolata di 450 metri dal Cervino, è emerso strisciando dal crepaccio di 20 metri in cui era sprofondato e finalmente, in piena notte, è riuscito ad arrivare al rifugio Hornly. Dapprima non è stato creduto, ma successivamente è stato possibile provare senza alcun dubbio la veridicità del suo racconto.
Tra i protagonisti assoluti delle storie di Jean Kouchner troviamo persone che hanno scritto molte pagine importanti dell’alpinismo valdostano e anche internazionale, come Hervé Barmasse, Abele Blanc, Renzino Cosson, Ferdinando Rollando, Marco Barmasse, Jean Bich, Felice Aguettaz, Lucio Trucco, Antonio Carrel, don Luigi Maquignaz e molti altri. Alcuni non ci sono più, altri erano presenti ieri in sala.
Un aspetto che emerge con forza dalle loro storie è la solidarietà che si sviluppa in situazioni estreme, in contesti in cui la tenacia, la resistenza e il coraggio dei professionisti della montagna possono fare la differenza. Anche la fortuna gioca un ruolo importante. Hervé Barmasse, ad esempio, è sopravvissuto a due frane successive, durate diversi minuti ciascuna, mentre i compagni assistevano impotenti alla caduta di tonnellate di roccia. Protetto malamente da uno strapiombo, si è aggrappato con le mani alle piccozze, aspettando da un momento all’altro che una pietra lo sbalzasse via. Dopodiché è tornato dai suoi amici, illeso, nell’incredulità generale.
Il libro racconta anche eventi luttuosi, come la valanga al Mont Fallère, che nel 2003 fece quattro morti.
Di fronte a certe drammi ci si può chiedere quale sia la molla che spinge tante persone a scalare vette di ghiaccio e di roccia, sfidando la sorte. “E’ la storia dell’umanità” ha spiegato al pubblico il giornalista. “Siamo fatti per esplorare, cercare nuove strade, metterci alla prova, spingerci sempre più lontano. Il mare, la montagna, perfino lo spazio sono il nostro banco di prova. L’umanità progredisce così, attraverso questa ricerca instancabile e inarrestabile”.