Una finestra sul mondo islamico: Tariq Ramadan ad Aosta

Il controverso intellettuale svizzero ha affrontato i temi dell’economia mondiale, della politica internazionale e della democrazia da un punto di vista musulmano, invitando tutte le componenti della società al dialogo e alla reciproca conoscenza.
Tariq Ramadan e Alex Glarey
Cultura

Un pericoloso estremista o un libero pensatore democratico? La figura di Tariq Ramadan, islamista di fama mondiale, è da sempre circondata da un’aura mediatica imponente e contraddittoria, satura di ammirazione e sospetto. Gli vengono offerte cattedre prestigiose nelle più importanti università statunitensi e europee, eppure la sua presenza, come ospite, a convegni, conferenze e serate, non di rado è considerata inopportuna.

Nel 2005 l’Università valdostana negò all’intellettuale svizzero la possibilità di partecipare a un convegno di sociologia organizzato dall’ateneo. Fu lo stesso presidente del consiglio dell’università, nonché presidente della Regione, Luciano Caveri, a porre il veto. 

Ieri sera i locali dell’Espace Populaire hanno invece aperto le loro porte a Tariq Ramadan, invitato dal circolo Arci locale. La crisi economica, il rapporto tra paesi occidentali e islam, la questione israelo-palestinese, la libertà di espressione e la democrazia, sono stati tra i temi approfonditi dall’accademico svizzero. “Io mi definisco come uno di coloro che oppongono resistenza a questo ordine economico mondiale, che fa centinaia di migliaia di vittime ogni giorno” ha affermato Ramadan. “Quando si parla, come è avvenuto ad esempio durante il G20, della necessità di introdurre l’etica nell’economia, in realtà si intende sempre modificare solamente le modalità dell’azione, la struttura del sistema, e non i suoi fondamenti. A mio parere bisogna sottomettere l’economia, come azione umana, al parametro delle finalità, per promuovere l’uguaglianza tra gli individui, la solidarietà, il rispetto, la democrazia. La teoria liberista, che finge di credere che esista una mano invisibile che regola con efficacia i meccanismi dell’economia, è irrealistica e pericolosa. In realtà abbiamo bisogno di una politica economica che preceda, giustifichi e valuti gli atti economici”.

Ultimamente assistiamo, ha ricordato Tariq Ramadan, allo sviluppo di una forma di economia neoliberista di matrice islamica. Pare, ha sottolineato in guisa di esempio, che una crisi come quella americana dei subprime non abbia contagiato il mondo della finanza islamica, dove esistono delle regole che impediscono di concedere dei mutui a chi non offre sufficienti garanzie di solvibilità. “E’ vero, ma nel mondo islamico si applica comunque sempre un’etica strutturale, che non influenza i fondamenti del sistema. Ultimamente si parla di banche islamiche, l’economia mondiale ha fiutato la possibilità di attirare nuovi capitali attraverso l’apertura di queste finestre sul mondo musulmano. Ma si tratta, ancora una volta, di strategie di adattamento, e non di rinnovamento. Per creare una vera economia basata sui principi islamici occorre ben altro. Ad esempio, deve valere il principio secondo il quale non si fanno i soldi con i soldi, ma solo con l’autentico commercio, ci deve essere un bene reale da scambiare. Altrimenti il denaro diventa un fine, e non un mezzo. Bisogna poi applicare la zakat, il terzo pilastro dell’Islam, una sorta di “imposta” pari al 2,5 per cento del reddito, della quale beneficiano i poveri e i bisognosi, e che serve per ridistribuire la ricchezza materiale”.

La soluzione, se c’è, è una sola, ha affermato Ramadan: bisogna studiare, informarsi, dialogare tra simili. “Non esiste un Paese da prendere a modello, un’esperienza globale totalmente positiva da imitare. Dovremmo incontrarci, tra persone e organizzazioni contrarie al neoliberalismo selvaggio, altermondialisti, teologi della liberazione, movimenti radicali, al di là dei paesi, delle culture, provenienze politiche e religiose. Occorre studiare le iniziative già sperimentate, le piccole realtà che funzionano, ed estendere questo capitale di esperienza per elaborare un’alternativa reale al sistema. Ma per farlo dobbiamo abbattere il muro della sfiducia che ci è stato costruito attorno, incontrarci e parlare”.

L’elezione di Obama, osannata dall’intellighenzia mondiale, lascia tiepido l’intellettuale svizzero.
“Sicuramente – ha riconosciuto – è un uomo molto più adatto di Bush a ricoprire il suo incarico, ma rappresenta il successo della messa in scena della fiducia mediatizzata, della “politica emozionale”. La sua elezione è frutto di un’operazione attenta di pubbliche relazioni. Alle dichiarazioni di Obama, che possiedono un notevole impatto simbolico ed emotivo, non fanno seguito adeguate azioni concrete. La retorica dell’immagine prevale sull’azione”.

Infine, incalzato dalle domande del pubblico, Ramadan ha affrontato anche il tema della libertà di espressione, snodo centrale del concetto stesso di democrazia. Il professore è partito dal famoso caso delle caricature del profeta pubblicate su un giornale danese. “Ero in Danimarca quando è scoppiata la bufera. Ho raccomandato ai musulmani di non reagire, ma di rispondere con un sorriso. I musulmani europei non se la sono presa, perché qui abbiamo la capacità di decodificare il linguaggio dell’umorismo. Per ridere – ha concluso – bisogna dare fiducia all’altro, essere sicuri del fatto che non intenda aggredirci. Dobbiamo darci il tempo e i mezzi per creare questa fiducia, spiegare i sottotesti, il metalinguaggio dell’humour, dando prova di empatia intellettuale. Purtroppo sono molte le persone, non solo musulmane, che non praticano questa forma di linguaggio. Dobbiamo conoscerci meglio, aprire le porte delle nostre comunità, la fiducia si costruisce”.

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