Chiudono (di nuovo) le discoteche: “Un fulmine a ciel sereno”

Circa due mesi di apertura in due anni: questo è il dato inesorabile e spietato che riguarda le discoteche italiane, penalizzate dal nuovo Decreto. L'allarme di Michele Napoli, presidente Silb.
Discoteca - foto d'archivio
Economia

Circa due mesi di apertura in due anni: questo è il dato inesorabile e spietato che riguarda le discoteche italiane, tra le più bersagliate dalle misure di contenimento contro il Covid-19. Dopo aver perso anche la stagione estiva 2021 ed aver ricevuto il via libera ad ottobre, l’ennesima “mazzata” è arrivata ieri sera con il nuovo “Decreto festività”, che impone la chiusura di discoteche e locali da ballo fino al 31 gennaio 2022: “Ci hanno tolto tutto senza avvisarci, per noi è stato un fulmine a ciel sereno”, commenta amareggiato Michele Napoli, presidente del Silb VdA (Associazione Italiana sale da ballo e discoteche). “Fino a poche ore prima del decreto si parlava di misure aggiuntive come il tampone anche a chi in possesso del Green Pass rafforzato, ma davvero non ci aspettavamo di chiudere”.

Nonostante la capienza limitata al 50% ed i tassativi controlli all’ingresso, Napoli aveva riscontrato interesse e partecipazione da parte del “popolo della notte”, che ora dovrà nuovamente tenere a freno la voglia di ballare. “Ci hanno abituati ad avvisarci sempre all’ultimo, sia per le riaperture che per le chiusure, ma non è semplice: il mondo delle discoteche è una macchina complessa, lavorano parecchie persone e fermarci è una mazzata. Chiudere da un giorno all’altro per Capodanno, in una regione turistica come la nostra dove le persone prenotano online in anticipo, ci rende la vita difficile. Sembra quasi un castigo, non c’è rispetto per il nostro settore”.

Per quanto siano poche le discoteche in Valle d’Aosta – spesso legate ad attività di ristorazione o comunque in località sciistiche – nessuna, finora, ha dovuto chiudere, “ma si galleggia. In Italia molte aziende sono state messe in ginocchio, non c’è stato lo stop agli affitti ed i ristori sono sempre in ritardo e troppo bassi rispetto a quanto abbiamo perso. Di sicuro avremmo preferito lavorare piuttosto che aspettare i contributi”.

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