Con l’assemblea di oggi, venerdì 27 giugno, sono stati nominati da Finaosta i nuovi organi sociali della Compagnia Valdostana delle Acque. Marco Cantamessa, presidente uscente della società, non è stato confermato e conclude così questa parte di cammino nell’azienda idroelettrica valdostana. All’uscita dall’assemblea, non si sottrae ad alcune domande…
Si dice che squadra vincente – come testimoniano gli ultimi bilanci – non si cambia. L’Assemblea dei soci si è ritrovata invece oggi per rinnovare quasi completamente il CdA. Perché secondo lei questo è avvenuto?
“Non mi permetto di giudicare le decisioni del Socio su questo tema. Questo è il potere principale che ha il Socio di una S.p.A., e quindi le decisioni che prende, le prende. Può darsi che ci sia stato anche l’effetto delle polemiche politiche che hanno investito la società ormai da mesi. E queste possono aver avuto un’influenza”.
Perché, ad un certo punto, si è rotto quel rapporto di fiducia che c’era fra una parte dell’attuale maggioranza e i vertici di CVA?
“In questi otto anni ho avuto sempre un rapporto chiaro e lineare con chi nella Giunta deteneva le deleghe alle partecipazioni, quindi di volta in volta poteva essere il Presidente o l’Assessore a ciò delegato. Mai avuto dei problemi. Quello che è curioso e, a mio modo di vedere, incomprensibile, invece, è il collegamento tra il Consiglio regionale e il funzionamento nel dettaglio di una società partecipata. Qui sono nati i problemi. E questo, sempre a mio modo di vedere, è un qualcosa che andrà risolto”.
Nell’ultimo Consiglio c’è stata una richiesta da una parte dei consiglieri di avere un maggiore controllo da parte di Finaosta. Dal suo punto di vista, questo controllo è mancato in questi anni? Avete avuto le mani libere di fare – come qualcuno ha detto – quello che volevate?
“Bisogna sempre capire cosa si intende per controllo. Io il controllo lo intendo nel senso del diritto societario. Poi, ciò detto, è vero che l’azionista deve fare l’azionista – ed è un mestiere che si impara – e che, man mano che le società crescono ed evolvono, come Cva, anche l’azionista si trova a dover maturare una modalità con cui esercitare questo ruolo fondamentale. E devo dire che, con la presente gestione di Finaosta, questo sta effettivamente avvenendo. Bisogna solo dargli il tempo.
Ci tengo a dire che Cva non si è mai sottratta a nulla. Le informazioni che sono state chieste le abbiamo sempre date, sia a Finaosta, sia a tutte quelle che sono pervenute da Palazzo regionale. Sul sito web, c’è addirittura – ormai l’abbiamo pubblicato – un elenco di tutte le cose che ci sono state chieste negli ultimi tre anni. E’ un elenco impressionante per estensione e anche per dovizia di particolari. Inoltre, è stato chiesto di fare una verifica incrociata, se cioè Finaosta avesse mai chiesto a noi delle cose che sono mancate e a Finaosta se si attendevano delle risposte che non erano pervenute. Non mi risulta che sia emerso nulla. Quando qualcuno dice che non c’è stato il controllo, dal nostro punto di vista, noi non ci siamo mai sottratti a nulla”.
Nell’ultima seduta del Consiglio regionale, tra i vari attacchi che vi sono stati rivolti, c’è quello legato ad alcune “stranezze, opacità e zone d’ombra” nella gestione della società. Con la contestazione, in particolare, di mancata trasparenza su alcuni investimenti e sulla questione emolumenti.
“Nell’ultimo Consiglio sono emerse una quantità impressionante di estrapolazioni di fatti, anche distorti, di affermazioni che non hanno alcun fondamento fattuale e/o nella corretta governance aziendale. Per cui io rigetto qualunque di queste illazioni, a meno che per ‘mancanza di trasparenza’ e opacità s’intenda un controllo, direi quasi diretto e personale, da parte del Consiglio regionale su Cva. Ma ricordo che l’azionista è Finaosta e l’azionista indiretto è la Regione nella persona di chi detiene la delega alle partecipate”.
Una delle tesi, emersa in Consiglio, è quella di una sorta di complotto intorno a CVA, o comunque di forti ingerenze politiche. Le avete avvertite? Questo complotto c’è stato a suo modo di vedere?
“Se il complotto c’è stato, e potrebbe anche essere, io questo non lo so, ma emergerà. Dal mio punto di vista, ho sempre vissuto l’azienda, ho sempre voluto incontrare gli esponenti dell’azienda, gli esponenti ufficialmente designati in sedi istituzionali, il famoso Assessore delegato, piuttosto che il Presidente. Non ho mai preso un caffè con nessuno che non avesse motivo di interagire con una Cva. L’ho fatto come scelta e quindi mi è difficile percepire se di complotti ci potesse essere qualche sentore. Ho guidato, come presidente del consiglio di amministrazione, questa società, ho interloquito con figure istituzionali, e basta. Se poi alle spalle qualcosa veniva fuori – ed è possibile, ci mancherebbe – emergerà. Ora non lo posso sapere”.
Sempre ritornando alle accuse mosse dalla politica, l’attenzione si è concentrata sugli investimenti compiuti da Cva Eos e su una serie di criticità che qualcuno ha registrato nei bilanci. Voi avete sempre risposto di guardare al bilancio consolidato.
“Più volte abbiamo detto di leggere i bilanci, di leggere quello che hanno scritto i Sindaci e le società di revisione. Il discorso degli investimenti, abbiamo sempre rammentato anche in quarta Commissione, è chiarito dal fatto che i test sulle eventuali svalutazioni sono stati fatti, più e più volte, anche dalle società di revisione. E quello era ovviamente l’unico punto potenzialmente critico. Poi, se qualcuno va a cercare – come è successo – uno refuso di copia e incolla, e dice che quello è un problema di sostanza, da ciò si capisce subito una certa parzialità e strumentalità”.
Se potesse tornare indietro, cosa non rifarebbe? E cosa invece rifarebbe?
“E’ difficile rispondere, e non riesco ancora a formulare un bilancio così puntuale. Posso solo dire una cosa: che quando sono entrato qua otto anni fa, incontrai per primo il compianto Massimo Lévêque. E ricordo che emersero nei primissimi minuti di interlocuzione quattro elementi strategici per questa azienda, che sono: il fatto di toglierla dai vincoli più stringenti della legge Madia, e questo è stato fatto; di farla crescere per dimensioni e diversificazione, per trasformarla in un campione nazionale delle rinnovabili più robusta, e soprattutto poi capace di affrontare il futuro tema delle concessioni idroelettriche, e questo, nonostante le polemiche, è in corso; la terza cosa era renderla un attore di innovazione e sviluppo industriale del territorio. Questo è stato appena iniziato, con il progetto CREA – ex Tecdis di Châtillon; il quarto obiettivo era quello di far fiorire le competenze aziendali che erano presenti, in primo luogo trasformando il clima aziendale in un qualcosa di meno “fordista”, ma più orientato alla responsabilizzazione degli individui e alla loro autonomia. Inoltre, di esporre di più il personale a dinamiche di livello nazionale e internazionale. Questo è stato raggiunto. Infatti, tutte le persone che mi parlano oggi di Cva da ogni parte d’Italia sono stupite per la professionalità che emerge da un territorio così piccolo.
Mi spiace ovviamente non portare a termine tutto questo, ma sono tranquillo perché c’è un elemento di continuità nella governance, e questo potrà proseguire questo percorso strategico di otto anni che, tutto sommato, è stato compiuto o ben avviato”.
CVA ha cambiato pelle in questi anni. Cosa risponde a chi oggi, invece, vorrebbe riportarlo sull’In house?
“E’ una scelta, dove è fondamentale anzitutto essere al potere per poterlo fare. Ma è fondamentale anche chiarire, con trasparenza e senza veli ideologici, a tutta la cittadinanza, quali siano i pro e i contro di questa decisione”.
Qual è l’augurio che può fare oggi a CVA?
“Di proseguire soprattutto nello sviluppo delle professionalità e delle competenze, senza rinunciare a questo clima aziendale estremamente responsabilizzato e autonomo, che la caratterizza oggi. E, quindi, di mantenere anche l’autonomia della politica che ovviamente ha il potere, se esercitata bene, di dare i corretti indirizzi ‘alti’ ma, se esercitata male, di distruggere valore.
Ricordiamo che Cva, nell’ultimo anno, ha portato in Valle d’Aosta – tra dividendi, canoni, imposte, eccetera – 300 milioni. 300 milioni in un territorio di poco più di 100 mila abitanti è una cifra immensa, che non va distrutta”.
Una risposta
C’era una volta un Casinò …..