Inquietanti per la popolazione e fonte di indignazione per i precari della sanità: così appaiono le parole pronunciate dal Direttore generale dell’Azienda Usl, riportate da La Stampa del 24/02: “Molti lavoratori dovranno mettersi a studiare. Superare le selezioni e le prove di un concorso pubblico non è così scontato”. L’articolo spiega la dichiarazione del Direttore: “Chi non possiede i titoli per affrontare il concorso dovrà attivarsi prima possibile per conseguirli, per esempio ricorrendo alle numerose formule esistenti (corsi serali, diplomi “concentrati”, 150 ore).”
Ma “i titoli per affrontare il concorso” non devono essere già posseduti da chi lavora, anche se per l’agenzia interinale in oggetto? L’unica eccezione possibile non è rappresentata dall’accertamento della conoscenza del francese e/o dalla cittadinanza?
Lo scenario che si evince è più o meno questo: accesso al pronto soccorso, l’utente all’infermiere: “Scusi, lei è precario o in ruolo?”, come se il fatto che un lavoratore sia in ruolo fosse una garanzia di una migliore assistenza. O come se un infermiere precario potesse non avere i titoli per esercitare la professione infermieristica: ipotesi, quest’ultima, non contemplata dalla legge.
Se ci si riferisce, poi, a quegli infermieri che non hanno il titolo della Scuola Media Superiore, perché in possesso solo del biennio + la Scuola professionale, non c’è bisogno che questi ricorrano ai diplomi “concentrati” per concorrere ad un concorso pubblico per infermiere, in quanto già dal D.M. 27 luglio 2000 per finire con la Legge n. 1 dell’8/1/2002 viene sancita a più riprese (in seguito all’entrata in vigore della formazione universitaria dell’infermiere) l’equipollenza del titolo rispetto all’esercizio della professione e, quindi, anche rispetto all’accesso ad un concorso pubblico per il profilo di infermiere. L’equipollenza viene riconosciuta anche in ambito universitario, rispetto all’accesso alla formazione post-base (master di 1° e di 2° livello, laurea di Specializzazione e dottorato di Ricerca), salvo il fatto che è l’ordinamento universitario a richiedere, invece, imprescindibilmente, il diploma di Scuola Media Superiore.
E’ auspicabile, inoltre, che il Direttore generale esprima maggiore fiducia nelle capacità dei propri collaboratori di sostenere e superare delle prove concorsuali. Le dichiarazioni soprammenzionate suggeriscono, infatti, che quasi si debba ringraziare chi non bandisce concorsi, perché i precari non sarebbero in grado di affrontarli, benché ritenuti, invece, in grado di rispondere quotidianamente a delicati bisogni di assistenza della popolazione. Da non dimenticare che quei precari sono comunque stati scelti dall’Azienda, avendo essa un preciso e costante dovere di verificare le capacità dei propri lavoratori seppur assunti con contratti “atipici”… stiamo parlando di sanità!
Delude, infine, la soddisfazione – quando non addirittura l’esultanza – espressa dai sindacati. Innanzitutto perché devono spiegare come la trasformazione di un contratto a tempo determinato in un altro a tempo determinato – seppure tramite concorso – possa dare “più sicurezza sul futuro”. Si spera che questi, alla luce di un approfondimento della questione, esercitino non una coerenza fine a se stessa, ma il coraggio di cambiare idea.
Lettera firmata