Parigi, 30 nov. (Dall’inviata Ileana Sciarra) – – In una Parigi blindata e colpita al cuore dagli attentati del 13 novembre, parte la sfida mondiale per salvare il pianeta. Sono 15.500 i poliziotti schierati in tutta la Regione, quasi 3.000 in prima linea nel quartiere generale di Le Bourget dove sono attesi stamani 147 tra Capi di Stato e di governo per la cerimonia inaugurale della Cop21. Eppure la gran mole di forze dell’ordine in campo non ha scoraggiato ieri le proteste degli ambientalisti, con scontri, disordini e fermi in Place de la Republique e il timore diffuso di una replica oggi, quando all’ombra della torre Eiffel saranno riuniti i potenti del mondo in piena emergenza terrorismo.
Clima, a Parigi la simbolica marcia delle scarpe
A 20 anni esatti dal primo meeting Cop (nel 1995 a Berlino), il nemico da battere é sempre lo stesso: il cambiamento climatico e il temibile surriscaldamento del pianeta. Limitare a due gradi l’aumento della temperatura globale rispetto all’era preindustriale l’obiettivo da centrare.
La sfida non è di poco conto considerando che i piani nazionali con cui arrivano al tavolo di Le Bourget i 190 Paesi attesi a Parigi infrangono la ‘zona rossa’ portando pericolosamente la colonnina di mercurio a +2,7 gradi. Nonostante i buoni propositi occorre dunque uno sforzo supplementare, con le diplomazie al lavoro per cancellare la disfatta di Copenaghen del 2009, quando il summit Onu si concluse con un nulla di fatto.
A Parigi si punta a raggiungere un’intesa che nel 2020 possa addirittura raccogliere il testimone dell’accordo di Kyoto (2005) con impegni ancor più ambiziosi. Ma le contraddizioni sono tante e lo scontro Nord-Sud sempre attuale, con i Paesi emergenti pronti a rivendicare una sorta di diritto ad inquinare di più perché in ritardo di due secoli sulla tabella di marcia dell’industrializzazione.
Sul piatto della bilancia pesa poi la scarsità di aiuti dei paesi ricchi per finanziare la conversione alle energie rinnovabili dei poveri: solo 100 miliardi di dollari promessi nel 2009, di cui ben 38 mancano ancora all’appello.
E’ anche per questo che la debacle di Copenaghen sembra aggirarsi come un fantasma nel cielo di Parigi, con gli scettici maliziosamente pronti a scommettere che i leader del mondo si siano dati appuntamento oggi, anziché allo scadere dei 12 giorni della Cop, per evitare di ‘mettere la faccia’ su un summit che potrebbe rivelarsi un clamoroso fiasco.
Ma tutto sta a come si guarda il bicchiere, giudicandolo mezzo vuoto o mezzo pieno. Sull’altro fronte, quello degli ottimisti, più di un fattore sembrerebbe infatti agevolare l’inversione di marcia necessaria per frenare il surriscaldamento del pianeta. Innanzitutto la Cina, ormai tra le più grandi generatrici di CO2 al mondo: lo scorso anno ha annunciato un piano ambizioso per abbattere progressivamente la crescita di emissioni entro il 2030.
Al tavolo dei negoziatori oltre al dragone asiatico di Xi Jinping c’è Barack Obama, il presidente più ‘green’ che gli States ricordino, deciso a portare a termine il suo mandato alla Casa Bianca con un successo da lasciare ai posteri su uno dei temi che più gli sta a cuore. Infine l’Europa, che si presenta all’appuntamento della Cop21 con lo scandalo Volkswagen che ancora brucia, un’onta da cancellare puntando in alto e agevolando il raggiungimento di un’intesa che sia il più onorevole possibile.
Sullo sfondo il contributo, tangibile, di Papa Francesco, che con la sua enciclica ‘Laudato si’ e le raccomandazioni da Nairobi affinché a Parigi si raggiungano risultati concreti ha avviato una vera e propria moral suasion che potrebbe trovare terreno fertile negli ambienti più cattolici, vincendo le resistenze dei ‘negazionisti del clima’ (si pensi solo alla destra americana), impermeabili agli allarmi degli studiosi ma sensibili ai richiami etici e religiosi. A Le Bourget tra poche ore parte di fatto il countdown: dodici giorni, 288 ore appena per quella che alcuni studiosi reputano l’ultima fermata utile per salvare il pianeta.