Crisi, al discount sei famiglie su dieci. E il 70% taglia cibo e cure mediche

I nuovi dati Istat.
News Nazionali

Roma, 23 apr. (Adnkronos/Ign) – Le famiglie italiane tirano la cinghia, a causa della crisi, e si rivolgono sempre di più al discount riducendo quantità e qualità dei prodotti. Lo afferma il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, nel corso dell’audizione delle commissioni speciali di Camera e senato sul documento di economia e finanza. Più di sei famiglie su dieci infatti, per la precisione il 62,3% nel 2012, (con un aumento di nove punti percentuali sul 2011) fanno ormai stabilmente la spesa nei market ‘low cost’.

La punta massima del fenomeno nel Mezzogiorno (dal 65% al 73%), ma in termini incrementali si sono avute variazioni anche più ampie al Nord, dove il salto è stato di quasi 10 punti percentuali (dal 46% al 55,5%), e al Centro (dal 53% a quasi il 62%). Circa il 71% ha poi modificato quantità e/o qualità dei prodotti acquistati, mentre tra le spese non alimentari sono state quasi eliminate le spese per visite mediche, analisi cliniche ed esami radiologici, mantenendo quella, incomprimibile, per medicinali.

Nonostante ciò, rivela l’Istituto di statistica, cresce la fiducia dei consumatori italiani che passa a 86,3 rispetto all’85,3 di marzo, posizionarsi al livello più alto dallo scorso luglio, ovvero da nove mesi. Nel dettaglio ‘in aprile aumenta la componente riferita al quadro economico (il relativo indice passa da 69,2 a 73,5), mentre diminuisce quella relativa al clima personale (da 91,4 a 90,5). Gli indicatori del clima futuro e corrente sono entrambi in aumento (rispettivamente da 80,3 a 80,8 e da 89,2 a 90,1)’.

‘I giudizi e le attese sulla situazione economica del paese migliorano: i rispettivi saldi passano da -147 a -137 e da -61 a -50 rispettivamente. Quanto alle attese sulla disoccupazione, le opinioni dei consumatori mostrano un aumento (da 104 a 109 il saldo) -continua l’Istat-.Le valutazioni sulla situazione economica della famiglia migliorano (il saldo passa da -75 a -73 per i giudizi e da -30 a -29 per le attese). Diminuisce il saldo dei giudizi sul bilancio familiare (da -23 a -28). Le opportunità attuali di risparmio e le attese sulle possibilità future sono in calo (da 132 a 121 e da -81 a -90 i rispettivi saldi). Le opinioni dei consumatori sull’opportunità di acquistare beni durevoli migliorano: il saldo passa da -114 a -102’.

‘Il saldo dei giudizi sull’evoluzione recente dei prezzi al consumo è in diminuzione (da 50 a 37). Le valutazioni sull’evoluzione dei prezzi nei prossimi dodici mesi indicano una attenuazione della dinamica inflazionistica (il saldo passa da 2 a -3). A livello territoriale, il clima di fiducia aumenta nel Nord-ovest nel Centro e nel Mezzogiorno, mentre diminuisce nel Nord-est’, conclude la nota.

Per quanto riguarda la situazione economica del Paese, il prodotto interno lordo italiano ‘dovrebbe ridursi nel 2013 in una misura molto vicina a quella stimata dal governo nel def’, che prevede una contrazione dell’1,3%. Per il 2014 ‘non si è ancora in grado di valutare l’effetto del provvedimento perché, spiega Giovannini, le previsioni dell’Istat verranno pubblicate a maggio.

Per il presidente dell’Istat, inoltre, il problema più grande rimane la disoccupazione che ‘non si riassorbe con un pil che cresce dell’1%’. ‘La crescita futura non si riassorbirà e non riassorbirà la disoccupazione creata, questo è il problema più ampio che abbiamo davanti come paese e come Europa’, spiega, ricordando che nell’eurozona ci sono 25 milioni di disoccupati che ‘non si riassorbono con un pil che cresce dell’1%. Come spezzare questo circolo credo che sia il vero problema’. L’attenzione va quindi concentrata su questo tema, anche a livello europeo.

Giovannini si è infine detto scettico sul ritorno dei consumi e degli investimenti a breve dopo il decreto sui debiti della P.A. E’ ‘difficile’ quantificare l’effetto del decreto legge, tuttavia l’attuale fase economica ‘non sembra supportare l’ipotesi di un effetto pieno e immediato’ del provvedimento, ha affermato, spiegando che il motivo è dato dai "bassi livelli del tasso di risparmio e dal desiderio di ricostituzione di quest’ultimo per motivi precauzionali". 

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