Papa Francesco: ‘Vangelo si annuncia con dolcezza, non con bastonate inquisitorie’

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Roma, 3 gen. (Adnkronos/Ign) – ‘Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annuncio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna. No, il Vangelo si annuncia con dolcezza, con fraternità, con amore’. Lo ha detto papa Francesco in un passaggio dell’omelia nella Chiesa del Gesù a Roma.

Una folla di fedeli ha accolto Bergoglio al suo arrivo per celebrare la messa in occasione della ricorrenza liturgica del Santissimo Nome di Gesù. Scendendo dall’auto il Pontefice ha salutato i fedeli che lo acclamavano, accalcati dietro le transenne, ed è entrato in chiesa. La celebrazione ha avuto un carattere di ringraziamento per l’iscrizione al catalogo dei Santi, il 17 dicembre scorso, di Pietro Favre, primo sacerdote gesuita.

‘Ricordiamolo sempre: la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio. E queste acque agitano i nostri desideri e i desideri allargano il cuore’ ha detto papa Francesco nell’omelia.

‘Il cuore di Cristo è il cuore di un Dio che, per amore, si è ‘svuotato. Ognuno di noi, gesuiti, che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare sé stesso – ha sottolineato il Papa – Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli ‘svuotati’. Essere uomini che non devono vivere centrati su sé stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa’.

‘Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto – ha aggiunto – perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine!’.

‘Noi, gesuiti – ha rilevato ancora Francesco – vogliamo essere insigniti del nome di Gesù, militare sotto il vessillo della sua Croce, e questo significa: avere gli stessi sentimenti di Cristo. Significa pensare come Lui, voler bene come Lui, vedere come Lui, camminare come Lui. Significa fare ciò che ha fatto Lui e con i suoi stessi sentimenti, con i sentimenti del suo Cuore’.

E ancora, sempre rivolto ai gesuiti: ‘Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre. Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio. È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica. Senza inquietudine siamo sterili’.

‘Ma, perché peccatori, possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato – ha aggiunto – se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in sé stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo fedele di Dio’. Questa inquietudine, ha sottolineato Francesco, ‘aveva Pietro Favre, uomo di grandi desideri, un altro Daniele’ ma anche ‘uno spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto. Sotto la guida di sant’Ignazio ha imparato a unire la sua sensibilità irrequieta ma anche dolce e direi squisita, con la capacità di prendere decisioni. Era un uomo di grandi desideri; si è fatto carico dei suoi desideri, li ha riconosciuti’.

‘Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora (cfr Sal 69,10)? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche da laboratorio?’, si è infine chiesto il Papa.
 

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