Milano, 15 apr. (Adnkronos) – Nessun dubbio, nessun caso da riaprire: Olindo Romano e Rosa Bazzi sono i colpevoli della strage di Erba. Né è convinto Giuseppe Castagna, “figlio, fratello e zio di tre vittime”, così come si autodefinisce in una lettera, consegnata all’ADNKRONOS e visibile sul sito dell’agenzia, per spiegare le sue certezze sul quadruplice omicidio dell’11 dicembre 2006 quando, sotto i colpi di spranga e coltelli, muoiono Raffaella Castagna, il figlio Youssef di soli 2 anni, la nonna del piccolo Paola Galli e una vicina di casa, Valeria Cherubini. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, si salva solo perché creduto morto.
Dopo l’ergastolo inflitto in primo e secondo grado ai coniugi Romano, sarà la Cassazione il 3 maggio prossimo a esprimersi su un delitto che continua a far discutere. “Spero solo – racconta Giuseppe prima di inviare la lettera – che finisca questo incubo che dura da quasi 5 anni”. Ora, aggiunge “Ci sentiamo soli, schiacciati da oscene insinuazioni che neanche troppo velatamente continuano a fare nei nostri confronti e del signor Frigerio”.
Insinuazioni “contro le quali siamo costretti a combattere, per noi e per i nostri cari”, dice riferendosi ai recenti dubbi sollevati da stampa e tv sugli autori della strage e dopo che Azouz Marzouk, marito di Raffaella e padre di Youssef, ha chiesto di riaprire il caso. “Oltre al dolore insopportabile di quello che le nostre famiglie hanno subito, ci tocca anche questo, dobbiamo andare in televisione a difenderci e a difendere l’operato di giudici e magistrati contro una vergognosa campagna di disinformazione”. Dopo questo sfogo verbale, Giuseppe affida i suoi pensieri a una lettera di 6 pagine per spiegare l'”indubbia colpevolezza dei coniugi Romano”.
“Io non sono né un giornalista né un avvocato e tanto meno un criminologo” scrive Giuseppe Castagna, prima di affrontare gli elementi utili a dimostrare la colpevolezza dei Romano. “Non mi sarei mai accontentato di due capri espiatori per questo motivo e per dovere nei confronti dei nostri cari ho seguito insieme a mio padre e a mio fratello i due interi processi. Ne avrei fatto volentieri a meno, rivivere in piu’ occasioni il loro martirio e’ stato molto doloroso”.
Dolore “che si rinnova ogni volta che, sempre per dovere nei loro confronti, devo assistere a trasmissioni o leggere documenti in cui si cerca di ribaltare la verità”, sottolinea. “Non credo assolutamente -scrive- alla barzelletta delle confessioni estorte e i coniugi Romano non sono affatto i due poveri sprovveduti che la difesa vuol dipingere. Le confessioni sono dettagliate e sovrapponibili e mi bastano pochissimi punti per esserne certo”.
Ad esempio “la descrizione della ferita sulla coscia della signora Cherubini fatta da Rosa o le coltellate con una piccola lama che coincide con quanto dice Olindo e di cui si rammarica per la rottura del coltellino ricordo d’infanzia”. O come i ‘pizzini’, le frasi scritte da Olindo su una Bibbia, una conferma alla strage nella corte di via Diaz. “Io credo -aggiunge Castagna- che se c’è stata un’estorsione, questa è stata fatta nella coscienza degli imputati da parte del nuovo collegio difensivo”. Anche per la ricostruzione della morte della Cherubini, su cui la difesa ha avanzato dubbi, “le prove hanno dimostrato che le confessioni dei Romano aderiscono alla realtà oltre ogni ragionevole dubbio, non sono io a dirlo ma le due sentenze”.
Nessun dubbio neppure sulla testimonianza di Mario Frigerio, sopravvissuto alla strage e pronto, durante il processo, a puntare il dito contro Olindo e Rosa. “Ho avuto modo di parlare con Frigerio più volte in questi anni, non sono un professore, ma -spiega Giuseppe Castagna- mi fido del mio istinto che mi porta senza ombra di dubbio a credere alle sue parole, alle sue certezze, alla sua indubbia levatura morale, dote alquanto carente in questi tempi, che sono certo, gli avrebbe impedito di mandare in galera chiunque se non ne avesse avuto la certezza assoluta”.
Non solo le confessioni, poi ritrattate, e la testimonianza oculare, sull’auto dei coniugi Romano è stata trovata una traccia di sangue di una delle vittime, Valeria Cherubini. Anche in questo caso la difesa ha dato battaglia “denigrando l’operato delle forze dell’ordine, accusandole di negligenze e superficialità”.
Così come sulle ipotesi di vie di fuga alternative. L’unica certezza è che le macchie di sangue ‘si fermano’ all’interno della corte di via Diaz, come se gli assassini non fossero mai usciti dal cortile del massacro. Chi ha ucciso non è né fuggito dai tetti, né attraverso il terrazzo di Raffaella Castagna, ma ha usato le scale “l’unica via per raggiungere la lavanderia”, dove Olindo e Rosa, secondo quanto accertato, si cambiano prima di andare a Como, nel tentativo di crearsi un alibi.
Nell’inchiesta nulla è stato tralasciato: si è indagato su possibili vendette nei confronti di Azouz, in passato arrestato per spaccio di droga, e di presunti screzi all’interno della famiglia Castagna. “A differenza degli avvocati della difesa, non nutro alcun dubbio sulla validità dello svolgimento delle indagini”, scrive Giuseppe.
Ma, sottolinea “alla luce dell’infamante attacco fatto nei nostri confronti, in particolare verso mio fratello, non nascondo che avrei desiderato che si fossero fatte molte più indagini sulla famigerata pista famigliare, ad avviso della difesa non sufficientemente battuta, il sospetto, anche se arrivasse da una sola persona, e’ un ulteriore peso che non avremmo mai voluto sopportare”.
In sei pagine Giuseppe Castagna ripercorre due processi, mette a tacere i dubbi mediatici “che mai potranno scalfire le precedenti sentenze ma che nel rispetto delle vittime devo cercare in ogni modo di fugare”. E conclude: “Non credo e non riuscirò mai a credere che esista una qualsiasi persona che a vario titolo abbia seguito questa vicenda realmente convinta dell’innocenza di Olindo e Rosa”. La parola passa ora alla Cassazione.