Referendum sulla giustizia, il Comitato per il Sì: “Un’occasione persa”

13 Giugno 2022

“Un’occasione persa”. Così Paolo Sammaritani – avvocato e consigliere regionale della Lega Vallée d’Aoste, ma soprattutto promotore del Comitato per il SÌ ai referendum abrogativi sulla giustizia – commenta il risultato della consultazione popolare di ieri, 12 giugno.

“Il tema della giustizia dovrebbe interessare tutti – ha spiegato –, ma i referendum trattavano anche questioni tecniche, ed è chiaro che l’elettorato non è stato favorito. Poi ci sono stati una serie di fattori concomitanti che hanno fatto sì che l’affluenza fosse bassa. Sicuramente il dato sotto la media nazionale è dovuto al fatto che qui in Valle non ci fossero le Elezioni amministrative collegate, ed è chiaro che questo ha allontanato dalle urne. Anche votare il 12 giugno, con le scuole chiuse e l’estate alle porte non ha aiutato”.

“Si è persa un’occasione – aggiunge Sammaritani –, perché la giustizia è di tutti. Mi spiace che ora si strumentalizzi al contrario la questione, dicendo che era solamente un modo per farsi pubblicità mentre la Lega lavora sul tema dagli anni ’90”.

Lavoro che ora proseguirà in Parlamento: “Molti dei temi sottoposti a consultazione popolare sono previsti nella Riforma Cartabia, quindi un miglioramento ci può essere. Altri erano invece propri dei referendum. Ci sarebbero tantissimi argomenti da trattare, ma questo sarebbe potuto essere un segnale per dire al Parlamento che servono riforme di più ampio respiro, per contrastare il ‘correntismo’ nella magistratura, quindi le Elezioni del Csm, o per definire le modalità per rendere più estesa la valutazioni dei giudici”.

Dal lato del “No”

Dall’altra parte della barricata, Raimondo Donzel (Area democratica – Gauche valdôtaine) affida a Facebook il suo pensiero: “I Referendum sulla giustizia, che non risolvono i problemi della popolazione, nonostante le elezioni Amministrative, non raggiungono il quorum. I cittadini non sono fessi: fateci votare sul Fine vita e vedrete se non lo sfondiamo il quorum”, riferendosi allo stop sulla consultazione sull’eutanasia arrivato dalla Corte costituzionale a metà febbraio.

Sempre via social arriva il commento di Alberto Bertin, presidente del Consiglio Valle: “A parte la buona fede e la coerenza del partito radicale, che da decenni propone iniziative simili, il referendum di questa domenica è stata la solita strumentalizzazione politica di Salvini di un problema. Risultato: gli elettori non hanno partecipato, minimo storico dell’affluenza. Effetto boomerang. Addirittura, la Lega per promuovere un referendum statale ha utilizzato i Consigli regionali, per avere la certezza che il referendum si facesse anche in caso di non raggiungimento delle firme necessarie. Un uso strumentale, seppur legittimo, delle istituzioni regionali messe al servizio della politica nazionale”.

Adu Vda entra nel merito dei quesiti sottoposti alla consultazione: “Questo referendum non è di certo stato sinonimo di democrazia diretta e partecipata – spiega il movimento –, ma un premeditato spreco di denaro pubblico. Ringraziamo la Lega per aver promosso questo sperpero colossale di risorse e facciamo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per evitare che vada alla guida del Paese. Forse il disinteresse collettivo in questo caso ci aiuterà, per esempio, a non far candidare persone condannate per mafia o per reati contro la pubblica amministrazione con pene superiori ai due anni (quesito 1). Continueremo a poter usare misure cautelari contro stalker o violenti (quesito 2). Possiamo continuare a sperare che non vengano danneggiate la professionalità dei magistrati e la loro indipendenza (quesito 3)”.

I referendum non raggiungono il quorum. La Valle si ferma al 16,5%

Affluenza ai minimi storici per i cinque referendum abrogativi in materia di giustizia promossi da Lega per Salvini premier e Radicali italiani. Alle ore 12 l’affluenza era al 5,43% (5.337 votanti su 98.361 aventi diritto). Mentre alle 19 era salita solo al 12,13% (11.929 votanti su 98.361 aventi diritto) al rilevamento definitivo delle 23 il dato finale parla di 16,53% di elettori recatisi alle urne. Ai seggi, sono andati a votare complessivamente 16.260 elettori – 8.187 uomini (17,06%) e 8.073 donne (16,03%) -, percentuale più bassa rispetto a quella media nazionale che si è attestata al 20,9%.

L’unico comune valdostano ad essersi avvicinato al raggiungimento del quorum è stato Chamois, dove hanno votato il 43% degli aventi diritto (22 uomini e 21 donne), seguito da La Magdeleine con il 40,86% (22 uomini e 16 donne). I comuni con i numeri più bassi sono invece stati La Salle (con il 9,51%) e Champorcher (9,82%).

Al precedente referendum, nel 2020 – quello sul “taglio” del numero dei parlamentari -, l’affluenza complessiva era stata del 73,44%.

La strada verso il referendum

Anche nella nostra regione era stato istituito un Comitato per il SÌ formato da Lega Vallée d’Aoste, Forza Italia Valle d’Aosta e Italia al centro. Le operazioni di voto si sono svolte dalle 7 alle 23, mentre le operazioni di spoglio ha seguito direttamente la chiusura delle urne.

Quella di domenica 12 giugno è stata la diciottesima consultazione referendaria abrogativa nella storia della Repubblica italiana. Gli elettori erano chiamati a esprimersi per abrogare (tracciando un segno sul “SÌ”) o per mantenere in vigore (tracciando un segno sul “NO”) i testi di legge sottoposti a consultazione.

Quesito numero 1: abolizione del decreto “Severino” – Scheda rossa

Il referendum numero uno – scheda di colore rosso – riguardava l’abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo a seguito di sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.

Di cosa si tratta

Il decreto legislativo, che porta il nome dell’ex ministra della Giustizia Paola Severino, prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per parlamentari, rappresentanti di governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali in caso di condanna. Ha valore retroattivo e prevede, anche a nomina avvenuta regolarmente, la sospensione dalla carica se la condanna avvenisse dopo la nomina stessa. Il decreto prevede, in caso di condanna non definitiva, la sospensione automatica dalla carica per un massimo di 18 mesi.

Il referendum chiedeva l’abrogazione del decreto e la cancellazione dell’automatismo di sospensione dell’eletto. In caso di vittoria del “SÌ” sarebbero stati nuovamente i giudici – come accadeva fino al 2012 – a decidere se, in caso di condanna, si dovesse applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici, valutando caso per caso.

Quesito numero 2: limitazione delle misure cautelari – Scheda arancione

Il referendum numero due – scheda di colore arancione – riguardava la limitazione delle misure cautelari: ovvero l’abrogazione dell’ultimo inciso dell’articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale.

Di cosa si tratta

La custodia cautelare è la limitazione della libertà preventiva (in carcere o ai domiciliari) che può essere applicata ad un imputato durante le indagini e prima della sentenza, quando cioè possano emergere rischi di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione dello stesso delitto.

Votando “SÌ”, sarebbe stata eliminata l’ultima parte dell’articolo 274 del codice di procedura penale, che motiva la misura cautelare per il pericolo di reiterazione per i reati meno gravi. L’arresto preventivo sarebbe rimasto possibile se fosse emerso il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o fosse sussitito il rischio di commettere reati particolarmente gravi, con armi o altri mezzi violenti.

Quesito numero 3: separazione delle carriere dei magistrati – Scheda gialla

Il referendum numero tre – scheda di colore giallo – riguardava la separazione delle funzioni dei magistrati, e chiede l’abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati.

Di cosa si tratta

La funzione requirente è esercitata dai magistrati che svolgono attività di pubblico ministero, che nel procedimento rappresentano l’accusa. La funzione giudicante, invece, è quella del giudice, figura chiamata a giudicare e che deve essere super partes. I magistrati, attualmente, possono passare dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa con alcune limitazioni (di distretto, altri distretti della stessa regione o riferito al capoluogo del distretto di Corte d’appello) e per non più di quattro volte nell’intera carriera.

Esprimendosi per il “SÌ” un magistrato, ad inizio carriera, avrebbe dovuto scegliere per la funzione giudicante o per quella requirente, senza poter più passare da pm a giudice e viceversa.

Quesito numero 4: valutazione dei magistrati – Scheda grigia

Il referendum numero quattro – scheda di colore grigio – prevedeva la partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari. Chiede l’abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte.

Di cosa si tratta

Le valutazioni sulla professionalità e la competenza dei magistrati sono attualmente in capo al Csm, che decide in base ai pareri motivati (ma non vincolanti) del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari.

Il quesito referendario chiedeva che queste valutazioni fossero allargate anche a esperti in materia giuridica come avvocati e docenti universitari che avrebbero avuto così una rappresentanza – assieme ai togati – nel direttivo della Suprema Corte e nei Consigli giudiziari come consiglieri “laici”.

Quesito numero 5: riforma del Csm – scheda verde

Quesito numero 5 – Referendum giustizia

Il referendum numero cinque – scheda di colore verde – prevedeva l’abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura.

Di cosa si tratta

Il Csm è l’organo di autogoverno della magistratura e, nella sua composizione, prevede tre membri di diritto (il Presidente della Repubblica – che lo presiede –, il Primo Presidente della Corte di cassazione ed il Procuratore generale della Corte di cassazione), mentre i restanti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati (i membri “togati”) e per un terzo dal Parlamento in seduta comune (i membri “laici”). Per potersi candidare come membro del Csm, oggi, un magistrato ha l’obbligo di raccogliere dalle 25 alle 50 firme di altri magistrati per sostenere la sua candidatura.

Votando “SÌ” si sarebbe tornati alla legge originale del 1958, abolendo quindi l’obbligo di raccogliere le firme e rendendo così possibile ad ogni magistrato la semplice presentazione della propria candidatura.

Il quorum

Per la validità del referendum abrogativo l’articolo 75 della Costituzione stabilisce che la proposta soggetta a consultazione sia approvata se ha votato la maggioranza degli aventi diritto al voto (quindi il 50 percento +1) e se si raggiunge la maggioranza dei voti validamente espressi (il 50 percento +1).

Il testo dei cinque quesiti abrogativi sottoposti alla consultazione popolare può essere letto, nella sua interezza, nello “Speciale referendum” stilato dal governo italiano.

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