Il nome l’abbiamo letto in questi giorni, sia in italiano, sia in inglese: dermatite nodulare contagiosa o Lumpy skin disease. La malattia, virale e che colpisce i bovini, non è presente in Valle d’Aosta, ma i focolai individuati in Savoia e in Alta Savoia hanno fatto sì che anche il versante del Piccolo San Bernardo della nostra regione – ed ora Courmayeur e Pré-Saint-Didier – fosse messo in sorveglianza sanitaria a livello cautelativo.
Ma di cosa si tratta? Ne abbiamo parlato con il dottor Riccardo Orusa, responsabile della Struttura complessa Valle d’Aosta dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Partendo dall’inizio – oltre che dal “Manuale operativo” del Ministero della Salute – e, ovvero proprio dalla definizione che ne dà l’Izsplv: “Una malattia ad eziologia virale dei bovidi, a trasmissione principalmente vettoriale, che presenta una significativa morbosità nel bovino. Nonostante il tasso di mortalità sia basso, si registrano comunque elevate perdite economiche legate al calo della produzione di latte, ad infertilità, aborto, al deprezzamento di pelli e carcasse. Non è una zoonosi”.
Il dottor Orusa spiega: “È una malattia conosciuta quale endemica in gran parte dell’Africa subsahariana. Negli anni ci sono state diverse segnalazioni al di fuori del Continente africano, come nel 1989 in Israele e successivamente in Medio Oriente. È arrivata vicina all’areale europeo nell’agosto 2105 con casi riscontrati in Grecia nel 2016 e a seguire in Bulgaria, Macedonia, Serbia, Kosovo, Albania e Montenegro. Insomma, è una malattia molto ben nota”.
Una malattia “tipicamente transfrontaliera”, che non colpisce l’uomo
“Come la definisco – aggiunge –? È una malattia che definirei tipicamente transfrontaliera. Questo perché, negli effetti che va a causare limita fortemente il commercio sia di animali vivi, sia dei prodotti derivati come gli alimenti, ed il latte in particolare, ma anche il pellame. Ne deriva che per i Paesi membri dell’Europa occorra dotarsi di strategie integrate e coordinate attraverso attività di cooperazione internazionale a cura delle autorità competenti per territorio: le Regioni, le Ausl e gli Istituti zooprofilattici, in Italia, come laboratori di riferimento”.
Anzitutto, sulla dermatite nodulare contagiosa occorre una precisazione di fondo: “Questa malattia infettiva non è una zoonosi, quindi non colpisce gli esseri umani. È tra le malattie esotiche emergenti o riemergenti, è epidemica, infettiva, virale, rappresentato da un virus della famiglia Capripox virus”.
Ma perché è pericolosa? Orusa spiega: “È malattia di categoria A. Questo significa che viene disposto, data la sua categorizzazione, l’abbattimento degli allevamenti infetti, quindi dei componenti di tutto l’allevato bovino. In poche parole, serve l’abbattimento di tutti gli esemplari dell’allevamento con una valutazione epidemiologica immediata”.
Quindi, una volta individuato un focolaio, “c’è il sequestro dell’allevamento, secondo il Regolamento europeo, si blocca la movimentazione in uscita e si fa, in parallelo, un’indagine epidemiologica per capire l’origine della malattia ed i potenziali contatti che animali hanno avuto con altri”.
Ma non solo: “Si istituisce anche una zona di restrizione, protezione e sorveglianza, collegata all’’areale dell’allevamento – spiega ancora –. Si tratta di una protezione che va dai 20 a 50 chilometri di raggio dall’effettività del luogo in cui l’animale risiede. Poi, si fanno una serie di rintracci sulle movimentazioni a rischio, che possono esser estesi anche ad animali sospetti colpiti, con controlli su altre matrici come il latte crudo, lo sperma, gli ovociti o la pelle”.
Gli effetti sugli esemplari colpiti e quelli economici
“Dal punto di vista patognomonico, presenta diversi sintomi – aggiunge –: ipertermia, quindi febbre, con l’ingrossamento dei linfonodi superficiali e la formazione e la presenza di noduli multipli a livello cutaneo e sottocutaneo, sia sulla cute sia sulle mucose, con noduli tra gli 0,5 ed i 5 centimetri. E che, quindi, si vedono ad occhio nudo sul mantello degli esemplari”.
Da qui, oltre al problema di dover abbattere tutti i capi dell’allevamento, già questione molto seria, deriva un’altra conseguenza economica: “I danni economici sono ingenti – dice ancora il professionista –, anche perché, oltre a tutto, rende impossibile vendere il pellame che poi viene trattato con la concia”.
Ma che conseguenze ha la dermatite su un bovino? “C’è prima di tutto una debilitazione grave dell’animale, molto forte. Gli esemplari colpiti hanno anche un calo abbastanza severo della produzione di latte, come l’infertilità, dato che il virus colpisce anche delle zone somatiche specifiche, può provocare aborti e anche danni permanenti a livello cutaneo – dice sempre Orusa –. Un’ulteriore conseguenza è l’indebolimento cronico, quindi non è acuto ma che si cronicizza in modo costante, il che può portare anche ad una scarsa crescita per gli esemplari in fase di sviluppo. In alcuni casi, per fortuna non frequentissimi, si può arrivare anche, per gli esemplari immunodepressi, alla morte”.
I vettori del virus
La difficoltà vera sta nell’individuare il vettore del virus. Ovvero, come questo si trasmette da un capo ad un altro. Orusa lo dice chiaramente: “È trasmesso da insetti ematofagi come mosche e zanzare e zecche. Questi sono i vettori meccanici legati all’infezione della malattia e, di fatto, collezionano pasti di sangue da un animale all’altro ‘passando’ la malattia. Il virus, però, può essere trasmesso anche da un altro vettore: ovvero da escreti e secreti come sangue, escrezioni lacrimali come in caso di congiuntivite, ma anche secrezione nasale, salivare e dallo sperma”.
In questo momento, in Sardegna, per i 29 focolai individuati, sono in arrivo i vaccini. E c’è chi si è già portato avanti con la pratica: “Il vaccino viene fatto in condizioni emergenziali. Ma non sempre: la Croazia, ad esempio, non ha un’ipotesi di malattia ma ha già vaccinato quasi tutto il patrimonio bovino. L’operazione è già in fase molto avanzata. Anche la Svizzera sta vaccinando a tappeto.
Le segnalazioni, invece, “vanno fatte all’autorità competente, quindi all’Usl, che a sua volta segnala all’autorità regionale e alla veterinaria regionale. Da lì, in caso di dubbi, c’è tutta una ‘scala’ da seguire. Ma bisogna sempre segnalare al veterinario dell’Ufficio dell’Usl competente per il territorio. In questo momento, in Valle d’Aosta non ci sono casistiche. Siamo in attesa di un chiarimento da parte dell’autorità francese e dei loro laboratori dipartimentali di analisi”.
Nessuna evidenza sui selvatici
Ad ora, dice Orusa, “qui non ci sono evidenze di questa malattia sui selvatici, ed è nostro dovere analizzare sia i domestici sia gli esemplari selvatici sul territorio, e valutare così ogni situazione. Ci sono stati casi: in Africa, ad esempio, la dermatite colpisce le giraffe, così come l’orice in Arabia Saudita e l’Antidorcas marsupialis in Sud Africa. Ma qui non ci sono evidenze”.